Mediobanca: vola il fatturato del vino, +27,1% in cinque anni
Indagine sul settore vitivinicolo dell’Area Studi Mediobanca: crescono occupazione, investimenti ed export (soprattutto in Asia e America). I produttori veneti, piemontesi e toscani trainano il settore.
Secondo quanto emerge dalla nuova edizione dell’indagine annuale dell’Area Studi Mediobanca, il 2018 segna una crescita dei ricavi delle principali società italiane attive nel settore vinicolo, con un +7,5% rispetto al 2017. Lo studio, nella prima parte, ha analizzato ben 168 principali società di capitali italiane, con un fatturato 2017 superiore a 25 milioni di euro. Si tratta di 52 coop, 103 S.p.A. e s.r.l. italiane 13 estere.
Il risultato è ancora più importante se confrontato con quello della manifattura (-7,2%) e dell’industria alimentare (-4,6%). Rispetto al 2013 l’incremento del fatturato è ancora più evidente (+27,1%), così come l’aumento dell’export (+31,9%) e del fatturato domestico (+22,4%).
I ricavi del vino italiano, per il 2018, sono frutto della buona performance dell’export (+5,3%) ma soprattutto al consistente contributo delle vendite domestiche (+9,9%). Nel settore si è registrato inoltre un aumentano degli occupati (+3,7%) e degli investimenti (+25,9%) e anche l’aggregato dei 14 maggiori produttori internazionali quotati è in crescita. Punte di diamante dell’industry si confermano le aziende venete, piemontesi e toscane.
Tra i comparti, il maggiore sviluppo nel fatturato lo registrano le cooperative, con una crescita (+9,2% sul 2017), trainate dal mercato interno (+13,6%). Le S.p.A e le s.r.l. sono in crescita del 6,7% (+7,0% all’estero), mentre gli spumanti e i “vini non spumanti” crescono rispettivamente del 7,1% e del 7,6%, i primi grazie all’export (+7,2%) e i secondi spinti dalle vendite domestiche (+10,8%).
Non solo redditizie ma anche sicure. I dati raccolti da Mediobanca relativi all’affidabilità creditizia confermano infatti la solidità delle imprese vitivinicole. Nel 2017 il 70% delle aziende ricade nella classe investment grade, il 28,6% in quella delle imprese intermedie e il residuo 1,2% in quella delle fragili.
E gli operatori del settore sono fiduciosi. L’82,6% degli intervistati prevede di non subire un calo delle vendite, il 10,5% crede in un aumento del fatturato in doppia cifra e il 17,4% si aspetta una flessione dei ricavi.
Il 2018 incorona Cantine Riunite-GIV, che si riconferma prima per fatturato, con 615 milioni di euro e un aumento del 3,1% sul 2017. Al secondo posto c’è Caviro, con 330 milioni e un +8,6% e in terza posizione il primo gruppo non cooperativo, Antinori, con 230 milioni di ricavi e un incremento del 4,5%. Seguono Fratelli Martini, Zonin, Botter, Cavit, Mezzacorona, Enoitalia e Santa Margherita.
Complessivamente le società piemontesi battono la concorrenza, soprattutto sotto il profilo reddituale (roi all’8,6% contro il 6,6% nazionale; roe al 12,1% contro 7,2%). Bene anche le performance delle aziende venete e le trentine, al di sopra della media nazionale. Le toscane (roi e roe al 7,3%) sono patrimonialmente più solide (debiti finanziari al 37% dei mezzi propri contro 69,4%), più efficienti (costo del lavoro per unità di prodotto al 46,8% contro 58%) e più vocate all’export (63,6% contro 52,4%).
Per quanto riguarda la distribuzione domina la gdo, con il 38% delle vendite, seguono l’horeca (17,1%), grossisti e intermediari (15%) e la rete diretta (12,3%). Sui mercati esteri non ha rivali l’intermediario importatore (75%).
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Crescono le esportazioni di vino in Asia (+42,2% sul 2017, per un totale pari al 5,7% del fatturato estero), in Sud America (+11,9%, l’1,6% del totale) e in Nord America (+3,9%, 32,3% del totale). È però nei Paesi Ue dove si concentra gran parte dell’export (+5,6%, 52% del totale). In flessione le performance nel resto del mondo (Africa, Medio Oriente e Paesi Europei non UE rappresentano l’8,4% del totale, -12,5% sul 2017).
Francia e Spagna risultano essere i competitor più temuti dalle aziende italiane, con una quota del 25,7% ciascuno, seguono il Cile (12,1%), Usa (7,9%), Australia (7,1%), Germania (3,6%). Le prime nazioni nelle quali i nostri produttori vorrebbero esportare e/o incrementare la propria presenza sono: Cina (7,7%), Messico (6,8%), Australia (6,0%), India (5,1%); a seguire Argentina, Brasile, Canada e Russia con il 4,3%. Le esportazioni in Cina si attestano mediamente attorno all’1,9%, con quota massima pari al 10%. Le principali difficoltà di accesso ai mercati esteri incontrate dagli imprenditori sono: concorrenza sul prezzo (50,8%), dipendenza da intermediari stranieri (32,8%), ostacoli 3 normativi e linguistici (9,8%) e concorrenza sulla qualità (6,6%).
Il 37,7% degli intervistati vede nella produzione ecosostenibile il principale driver futuro del vino, come raccontato da foodcommunity.it.
Per quanto riguarda le professionalità, secondo l’indagine dell’Area Studi Mediobanca, complessivamente i board delle 116 aziende non cooperative sono composti da 421 membri, per una consistenza mediana per ogni board pari a tre membri. I componenti del consiglio a maggiore longevità (Over73) rappresentano il 17,8% delle posizioni, mentre i Baby Boomers, con età compresa tra i 54 e i 73 anni, sono la fascia generazionale più rappresentata (44,4%). I nati tra il 1966 e il 1980 (Generazione X) coprono il 33,5% delle cariche. Scarsa invece la presenza dei Millennials (1981-1995) con il 4,3%.
Il dato interessante è che più di un amministratore delegato su due (il 59,5%) delle aziende vitivinicole italiane appartiene alla famiglia proprietaria, ciò delinea un settore a guida molto familiare.
I 14 maggiori produttori internazionali quotati hanno realizzato nell’insieme un fatturato pari a 5,7 miliardi (+1,2% sul 2016), con il contestuale miglioramento delle incidenze dei margini industriali sulle vendite: Mol (ebitda) al 18,9% e Mon (ebit) al 15,1%. Due le quotate italiane: IWB – Italian Wine Brands e Masi Agricola, la cui capitalizzazione era, a metà marzo 2019, complessivamente pari a 206 milioni di euro.
L’indagine completa è disponibile per il download sul sito www.mbres.it