L’horeca ingrana e il vino resta a invecchiare

All’attesa riapertura di ristoranti, trattorie, osterie, agriturismi, cantine e bar non corrisponde un’altrettanta ripresa del mercato del vino.

Se alcuni esercizi hanno, infatti, rialzato la saracinesca lunedì 18 maggio non è così per le aziende vitivinicole che in queste settimane di lockdown, di fatto, non hanno mai chiuso ma nemmeno incassato. Sulla base della previsione dell’OivOrganizzazione mondiale della vite e del vino  le misure adottate per arginare la pandemia di Covid-19 avrebbero tagliato del 50% del valore delle vendite di vino in Europa.

L’horeca, canale elettivo e naturale di vendita del vino italiano, che al consumo vale almeno 6 miliardi di euro l’anno a regime, non sembra sia ancora pronto a spendere in bottiglie. Si attendono, quindi, settimane ancora in salita per il comparto. Le 523 denominazioni di vino made in Italy rimarranno in standby in attesa di momenti migliori. Secondo la maggior parte degli imprenditori la lenta ripresa inizierà quest’estate. Se infatti i ristoratori si sono precipitati a cambiare menù – uno per il delivery, uno per il take away, uno per la riapertura –  le carte dei vini sono rimaste lì, intatte, come se il tempo non le avesse sfiorate.

E prima di vedere nuove etichette ne passerà di tempo. I sommelier scommettono infatti che, nella fase 2, si assisterà allo scarico della cantina, altro che riassortimento.

 

Questo lockdown però, molto probabilmente, oltre al cibo porterà a una nuova consapevolezza anche in fatto di bere. Che sia l’occasione per il ristoratore di osare offrendo etichette meno blasonate e anche più economiche? Qualche cosa si sta già muovendo e ne è un esempio il progetto Abere di cui parlo nel MAG 142.

Sarà un anno duro per il settore ma sono fiduciosa. Il vino italiano si è rialzato anche dallo scandalo del metanolo nel 1986, perché non dovrebbe farlo adesso?

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