Food delivery, croce e delizia
Esserci o non esserci? Questo è il dilemma dei ristoratori – indecisi se riaprire come dark kitchen e fare consegna a domicilio – e dei clienti – combattuti tra la voglia di farsi portare il piatto preferito a casa e la preoccupazione nella sicurezza ed eticità del servizio.
Il food delivery, in queste ultime settimane, da servizio accessorio sembra diventato decisivo per il futuro della ristorazione, e sicuramente, ad oggi, rappresenta per gli esercizi l’unico modo per arrivare al cliente. Questa situazione fa riflettere su come la capacità di adattamento e la logica di riconversione siano indispensabili.
È curioso osservare come, un mese fa, solo un imprenditore della ristorazione tradizionale su venti era già in grado di fornire un servizio di consegna. Nel quadro di una situazione che resta drammatica, però, oltre il 40% dei ristoratori, ad oggi, registra una buona crescita della domanda di cibo a domicilio e può tirare un parziale sospiro di sollievo.
Ma il vero problema del food delivery sono i costi.
Il continuare a lavorare sulla consegna a domicilio è all’origine di un meccanismo virtuoso per mantenere i clienti da un lato e acquisirne di nuovi dall’altro. Potrebbe, però, non valerne la pena. Per fare bilanci è presto ma è fondamentale che i ristoranti capiscano se sono in grado di sostenere l’incidenza del costo di consegna, che rappresenta il 30% più iva. E non basta, per guadagnare serve quindi calcolare il food cost e ricalibrare i prezzi.
Ma appoggiarsi alle piattaforme di food delivery, da Glovo a Deliveroo, non è l’unica opzione. I locali possono, infatti, investire in ciò che hanno di più prezioso, le risorse umane, e riconvertire i dipendenti nella consegna dei piatti. Fipe, a tal proposito, ha lanciato la piattaforma Ristoacasa per supportare gli imprenditori a sviluppare al meglio il servizio a domicilio, dando visibilità anche a chi, per la consegna, conta sulle proprie forze.
Un altro tema a cui fare attenzione è quello della sicurezza.
Sono in molti, infatti, a chiedersi quali siano le procedure applicate dal ristoratore nella preparazione e nel confezionamento del piatto o dal rider. Tanto che c’è chi, si stima un persona su quattro, per timore del contagio ha deciso di non farsi portare cibo a casa.
In questa direzione, per dare una maggiore sicurezza all’utente finale, è nata un’applicazione realizzata dalla startup pOsti in partnership con EY. L’app monitora, con un sigillo di garanzia digitale, la preparazione, il confezionamento e la consegna del cibo. Attraverso il tracciamento in blockchain e un qr code, il ristoratore, il rider e lo stesso consumatore diventano copromotori di un consumo sicuro.
Finiti soldi e l’entusiasmo iniziale però probabilmente si assisterà a un inevitabile calo del numero di ordini a domicilio. E se il futuro della ristorazione è ancora incerto il presente va affrontato e, il delivery non è certo la soluzione ma una soluzione.
di francesca corradi
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