Il rinascimento italiano della farina

Se crescono i consumi tra le mura domestiche si azzerano quelli dell’horeca. Il trend d’acquisto guidato dalla gdo rimodula la produzione di molte aziende e premia chi vende online e diversifica il business.

di francesca corradi

La regina della quarantena? Indubbiamente è la farina, ormai immancabile nel carrello della spesa e nella dispensa del consumatore in lockdown. Ma non è l’unica protagonista, al suo fianco ci sono prodotti in scatola a lunga conservazione. Anche la pasta, dopo anni di flessione, si riprende nei consumi. MAG ha deciso di fare il quadro della situazione e comprendere l’evoluzione dell’industria molitoria con due realtà molto diverse: la prima Petra Molino Quaglia, storica azienda alla quarta generazione dall’impronta b2b, la seconda Mulinum, startup calabrese che segue tutta la filiera, dai campi alla tavola. A queste si aggiunge il racconto di una novità nel panorama italiano, la Banca del Grano.

Le vendite di farina lievitano

Gli acquisti di farina nella gdo, secondo i dati Nielsen, hanno raggiunto una crescita impressionante, +186,5%, facendone il prodotto più richiesto durante l’emergenza sanitaria.

Secondo il report di Coop, l’acquisto di farina, nelle ultime due settimane di marzo, ha registrato un +205%, da un +114% delle prime tre settimane di pandemia.

«L’industria italiana trasforma annualmente 5,7 milioni di tonnellate di frumento duro che vengono impiegate per la produzione di semole destinate essenzialmente a realizzare pasta –  dichiara Cosimo De Sortis, Presidente di Italmopa -. La nostra produzione nazionale ora si situa mediamente intorno a 4 milioni di tonnellate». Ogni giorno, in Italia, «40mila tonnellate di grano tenero e duro, sia italiane sia estere, vengono trasformate in farine e semole dalle industrie molitorie. Queste sono destinate, tra l’altro, all’industria pastaria e dolciaria, alla panificazione artigianale e industriale o agli scaffali della gdo», aggiunge De Sortis.

 

E se il sold out di farina nei supermercati italiani dovrebbe far gioire i produttori, il rovescio della medaglia è che le grandi vendite nella gdo non riescono a compensare tutti i mancati introiti, derivanti da ristoranti, pizzerie e bar.

 

Infatti, secondo Italmopa, solo il 4% della farina prodotta in Italia va al consumatore nel sacchetto da chilo, il resto è destinato a pizzaioli e pasticceri.

In poche parole il business  è cresciuto nelle industrie votate al consumo domestico – complice la quarantena forzata in cui gli italiani hanno riscoperto la voglia e la possibilità di cucinare – mentre è sceso in quelle orientate al settore professionale. Questo però suggerisce che molte delle statistiche sulla spesa  di questi giorni di pandemia rimarranno, probabilmente, solo un ricordo e non un reale indicatore dei nuovi comportamenti.

«Da contatti con i miei colleghi, nella media notiamo un rallentamento complessivo nell’ordine del 20-25%. Non è una cifra ufficiale, ma una sensazione. Tra qualche settimana avremo dei dati più precisi», afferma Giorgio Agugiaro, presidente della sezione molini a frumento tenero di Italmopa. Il minimo comune denominatore di tutte le aziende attive nel settore risulta essere l’e-commerce. Lo shop online ha decuplicato, per tutte, gli introiti.

 

L’evoluzione nel dna

Anche Petra Molino Quaglia, storica realtà del settore, ha dovuto fare i conti con l’emergenza sanitaria e l’evoluzione del mercato. Ha confermanto lo spostamento di volumi e fatturato di vendita dal canale horeca, il core business, a quello dei consumi familiari. «Lo riteniamo in buona parte un fenomeno temporaneo, ma, nello stesso tempo, capace di condizionare le abitudini di acquisto di una fascia non trascurabile», sostiene Piero Gabrieli (nella foto, sotto), direttore marketing.

Mugnai da quattro generazioni, l’azienda sviluppa complessivamente oltre 40 milioni di euro di fatturato di vendita, con un +20% rispetto all’anno precedente, e una produzione massima giornaliera di 4mila quintali di farina. La forza della famiglia Quaglia, attiva dal 1914, sta nell’aver curato parallelamente la relazione diretta con il mondo agricolo e l’aggiornamento tecnologico.

L’azienda, infatti, non acquista il grano dalle borse ma attraverso rapporti diretti con i coltivatori che scelgono, ciclicamente, in base alle annate.

«Pensare che un grano vada bene per tutto e sia uguale nel tempo è utopistico  perché la sua qualità cambia annualmente».

E non tutta la farina è per forza italiana. «Ad esempio per fare il panettone c’è bisogno di grani di grande forza che in Italia storicamente non abbiamo».

Con un business particolarmente incentrato sulla fornitura al canale b2b, l’azienda ha indirizzato la ricerca verso farine dal profilo professionale.

 

E se gli ordini dell’horeca hanno avuto una flessione, lo shop online dell’azienda veneta in queste settimane, è  cresciuto otto volte. La farina macinata a pietra è il prodotto di punta e anche il più acquistato. I clienti dell’azienda sono molto interessati anche a farine per la produzione di dolci con lievito madre.

«La nostra relazione con il consumatore finale si è basata finora sulla vendita diretta delle nostre farine professionali. Sulla falsariga di quanto da circa 20 anni facciamo con la nostra scuola nei confronti dei professionisti: l’università della farina».

Per Gabrieli parlare di rinascita del settore è ancora troppo presto.

«È necessario attendere la nuova normalità di vita per capire l’andamento delle curve di vendita e consumo delle farine. Contiamo sulla capacità di rinnovamento degli attori nel canale horeca perché si ristabilisca un equilibrio economicamente sostenibile tra il consumo casalingo e quello professionale». E probabilmente Petra Molino Quaglia dovrà attendere la fine dell’anno per comprendere se il nuovo mix di vendite porterà a una crescita reale aziendale.

 

«Personalmente ritengo che oggi, più di ieri, bisogna rimboccarsi le maniche – afferma Gabrieli –. Sono convinto che la crescita in termini di qualità e di quantità sia uno scenario preferibile rispetto alla ricerca di soluzioni artigianali di piccola produzione verticale. Solamente in una filiera virtuosa ogni attore può stimolare gli altri al miglioramento del risultato finale, cioè il cibo che finisce in tavola. Orientarsi verso una produzione di farina, e magari di pane, che accorpi in tante piccole unità produttive i ruoli del contadino, del mugnaio e del fornaio sarebbe come pretendere che un singolo calciatore giochi il calcio con i risultati di un’intera squadra».

 

Fuori dal coro…anzi dal sacco
E se questo momento ha messo in difficoltà e provocato cambi di rotta per numerose attività per altre ha rappresentato un trampolino di lancio. È il caso, ad esempio, di Mulinum…

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