Ristorazione, spazio alle dark kitchen

 
Il modello Amazon basato sull’efficienza condiziona anche la ristorazione che punta sulle cucine destinate solo al delivery, un business parallelo più snello e meno rischioso. Nasce così la prima catena di pizzerie fantasma. UberEats stima che in Europa, entro il 2025, il numero di queste attività supererà quota 5mila.

di francesca corradi

 

 

È ormai da qualche settimana che il termine dark kitchen è stato sdoganato ma in realtà queste cucine professionali – che non hanno sale, camerieri e vetrine, ma preparano il cibo per essere consegnato a domicilio – hanno fatto la loro comparsa nel mondo della ristorazione qualche anno fa.

Il ristorante fantasma è da molti considerato la nuova frontiera del food delivery e la nuova alternativa all’apertura di locali tradizionali. Il vantaggio in questo caso è la sensibile riduzione delle spese per il personale, per i locali e gli arredi. Si tratta di una soluzione molto usata anche per testare nuove aperture in città diverse da quella originale. Si tratta di un modo per limare i costi di avvio o per ottimizzare il servizio di consegna a domicilio evitando la saturazione delle cucine dei ristoranti. In pratica siamo di fronte a una piattaforma di espansione a bassissimo rischio, che azzera i costi di locazione, delle attrezzature e delle spese operative.

In questa emergenza, in effetti, le stesse cucine di noti ristoranti sono diventate un po’ ghost kitchen. Gli chef hanno chiuso le sale, rivisto menù e recapitato piatti, in confezioni da asporto, nelle case degli italiani, attraverso camerieri trasformati in fattorini. Ma si è trattato solo di un’esigenza. C’è infatti differenza tra un ristorante che sceglie di fare anche delivery e una dark kitchen che nasce già con l’obiettivo di fare esclusivamente consegne a domicilio e non predisporsi al servizio al tavolo.

Parola d’ordine efficienza

L’obiettivo principale delle dark kitchen è certamente quello dell’efficienza dettata dal “modello Amazon” ovvero ricevere a casa in pochissimo tempo i piatti ordinati online. È innegabile, poi, che il food delivery stia crescendo più velocemente del resto del mercato e proprio le cucine fantasma permettono di ridurre gli investimenti diretti, garantiscono l’eccellenza a livello operativo e una maggiore agilità nella gestione del prodotto.

È il risultato di una vantaggiosa combinazione, dall’immobiliare agli algoritmi. Le cucine servono solo i clienti delle consegne, sfruttando proprietà immobiliari sottoutilizzate o periferiche, ottimizzando le spese generali e aumentando la produzione.

Già ben sviluppato all’estero – da Uber Eats in Europa a DoorDash negli Usa – anche in Italia qualche realtà ha scommesso sulle dark kitchen. Tra i primi citiamo Foorban (vedi MAG 134) e Celero.it.

A Milano, a marzo, Glovo ha inaugurato la sua prima cook room in Italia: uno spazio riservato a chef e rider, che può ospitare fino a sei partner. Hanno già aderito, ad esempio, Pescaria e Bun Bugers.

«Dopo una fase pilota in Spagna e in America Latina, abbiamo voluto portare l’innovazione anche in Italia,  – ha dichiarato Elisa Pagliarani, General Manager di Glovo Italia –. Offrire uno spazio in outsourcing a realtà del mondo della ristorazione ci consente di tenere insieme due aspetti fondamentali del delivery: l’opportunità di  sviluppo ulteriore del business per i partner e il valore aggiunto per il consumatore finale».

E la partita si giocherà sulla qualità.

La situazione d’emergenza di queste settimane non ha fatto altro che accelerare un processo di diffusione delle dark kitchen già in atto. Per i prossimi anni si prevede una costante crescita di queste piattaforme. UberEats stima che in Europa, entro il 2025, il numero di dark kitchen supererà quota 5mila.
Sul futuro roseo delle dark kitchen grazie alla snellezza del business e la quasi assenza di costi fissi ne è convinto anche Lorenzo Ferrari ad di RistoratoreTop. «È il modello più profittevole e intelligente per fare delivery. Quello che dovranno fare in futuro però sarà…

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