Il caffè della discordia

Non erano passate neppure 24 ore dalla riapertura dei bar, dopo settimane di lockdown, che i piccoli rincari sono diventati il presupposto per denunciare il settore.

Prima untori, ora speculatori. In settimana si è consumato un attacco mediatico  a bar e ristoranti, a causa di un presunto aumento dei prezzi.

Gli aumenti della discordia, secondo il Codacons, si sarebbero verificati sul caffè, al banco e servito.  Casi isolati, avvertono le associazioni per la tutela e difesa dei consumatori, che però dichiarano di continuare a ricevere segnalazioni dai consumatori.  Le accuse, però, sono state prontamente rispedite al mittente e nessuno ammette di aver ritoccato i prezzi.

Da Bolzano a Palermo, da Torino a Bari il costo della tazzina, secondo le denunce, avrebbe cominciato a variare. Dai 90 centesimi di tante località del Sud fino ai 2 euro di alcuni locali della Capitale. Quale novità? In effetti non c’è mai stata una regola di prezzo sul caffè al banco, nemmeno pre emergenza coronavirus ricordo un prezzo “unico” in tutta Italia.

C’è poi il caso dei 50 baristi di Vicenza che si sono accordati per far pagare il caffè  1,30 euro e il cappuccino 1,80 euro. Gli aumenti però sono sporadici e, forse, non così furbi.

La maggior parte dei clienti, in ogni caso, non sembra appassionarsi alla querelle sul caro tazzina, infatti, secondo lo studio di Fipe, un italiano su quattro si dice pronto a pagare un po’ di più in nome di una maggiore sicurezza offerta dal locale.

Davvero ci vogliamo indignare per l’aumento di qualche centesimo dell’amato espresso di cui ci siamo privati per settimane?

In questo momento i pubblici esercizi hanno un’unica priorità: sopravvivere riportando le persone nei locali. Attaccare a spada tratta l’intero comparto certo non aiuta.

 

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