Banca del Ceresio: ricavi +5,6% ed export +3,2% per il vino italiano

Il vino italiano cresce, ma troppo poco. Secondo i dati elaborati da Banca del Ceresio, lo scorso anno la crescita dei ricavi delle aziende vitivinicole italiane è stata di un +5,6% rispetto all’anno precedente. Il settore ha visto una ripresa delle vendite a partire dal 2014, e sul lungo periodo (2009 – 2017) la crescita è stata dell’1,8%. L’Italia è ad oggi il secondo paese al mondo in termini di valori per esportazioni di vino e per il 2018 le previsioni sono di un’ulteriore crescita del 3,25%.

Il quadro è positivo, ma il settore potrebbe fare di più. Se pure, infatti, l’Italia produce ed è più esperta della Francia (50,1 milioni di ettolitri il vino italiano, di cui 20,6 milioni di ettolitri vengono esportati; contro 43,5 milioni di ettolitri di vino francese, di cui ne esporta solo 14 milioni), il vino italiano costa e rende mediamente molto meno: il prezzo medio di quello italiano è 2,7 euro mentre 5,8 euro quello della Francia. Risultato: l’export francese vale 8,2 miliardi mentre quello italiano non supera i 5,6.

Nel Paese ci sono i maggiori produttori al mondo, ma piccoli e male organizzati. L’Italia ha infatti migliaia di piccoli produttori con pochi ettari di vitato che producono poche migliaia di bottiglie: solo 15 aziende superano i 100 milioni di fatturato (la più grande sfiora i 600 milioni).

“La nostra debolezza sta nella mancanza di un vero e proprio sistema Paese – spiega Alessandro Santini (nella foto) – che per Banca del Ceresio si occupa di servizi corporate, M&A e private equity per le imprese, in particolare nel settore food and wine. I nostri produttori spesso tendono a muoversi in modo frammentato, senza tenere conto del fatto che un’azione unitaria potrebbe portar maggiori risultati. Il “piccolo” oggi è diventato un handicap che impedisce al nostro Paese di crescere e competere. Il tessuto produttivo è frammentato e questo è il vero limite allo sviluppo dell’export”.

Un altro problema è la governance aziendale familiare tipica delle piccole imprese italiane anche nel settore vitivinicolo. “Il rischio in questi casi è quello di avere una proprietà che conceda poco spazio a membri esterni alla famiglia che possono portare nuove esperienze e nuove competenze – continua Santini -. Altra tendenza è ignorare le attività di marketing e promozione, ambito in cui i nostri vicini francesi hanno invece investito molto, ed è uno dei motivi che ha permesso loro di alzare il prezzo medio, che attualmente è oltre il doppio di quello italiano”.

Per continuare a competere in questo scenario, i produttori italiani non potranno che attenersi a delle regole sempre più importanti: “Continuare a produrre vini di ottima qualità; sfruttare il marketing e la comunicazione; aggregarsi e fondersi, trovare soluzioni per unire le forze anche sulla distribuzione e commercializzazione: questo è un fattore critico di successo. Infine, come categoria, serve promuovere la cultura del vino italiano all’estero”, conclude Santini.

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