ViVa la biodiversità in cucina

di letizia ceriani

Salernitana doc, classe 1974, Viviana Varese, prende la stella Michelin nel 2011 nel suo ristorante milanese in cima a Eataly Smeraldo, Alice. Il 2019 è un anno di fine e inizio: Alice cambia nome e diventa ViVa, tutt’ora il «marchio principale» della Varese. Nel 2020, la pandemia. Ma la chef non si ferma: prima, apre un pop up sul Lago di Garda, poi, a giugno 2021, prende in mano la ristorazione del boutique hotel Villadorata Country House, a pochi chilometri da Noto, e inaugura la sua «cattedrale nel deserto», W Villadorata Country Restaurant.
Spiccata la propensione per la pasticceria, che la porta ad avviare ben due negozi al Mercato Isola di Milano e in Porta Venezia. Da sempre impegnata nel sociale, Varese crea ambienti umani e appaganti.
Donne e alta cucina: un binomio mai lineare, né ieri né oggi. Da dove partire per cambiare le cose? Perentoria la risposta della cuoca: «Il cambiamento dipende dalle donne».

Cuoche, imprenditrici, giovani e protagoniste. L’immagine del femminile negli ultimi decenni si evolve e si ridefinisce. Mentre il talento «non ha forma», il talento è universale. La meritocratica «comunità» di ViVa unisce due regioni agli antipodi dello Stivale e supera oggi le 50 unità, forma giovani professionisti, investendo sulla valorizzazione della diversità degli alimenti e delle risorse in cucina.
Cosa c’è nel futuro di Viviana Varese? «Vivo ogni giorno il rischio di chi fa impresa». Il consiglio della chef per guardare lontano: un cocktail di realismo, un piede saldo a terra e tanta sana ambizione. 

Da sempre la sua cucina indaga il mare, ma negli anni il suo estro l’ha portata a sperimentare nuove strade. Penso ai progetti nati negli ultimi due anni. A conti fatti, la pandemia sembra che sia stata per lei una pausa creativa molto proficua: nel 2021 i due punti vendita milanesi di Io sono Viva, dolci e gelati, e poi l’apertura a Noto…
Posso dire che i lockdown non mi hanno mai fermata. Nel 2020 ho aperto un’osteria sul Lago di Garda e nell’estate 2021, dopo l’esperienza della pandemia, mi sono messa in cerca di un luogo all’aperto. Tra le città italiane, Milano ha sofferto molto le continue chiusure e ho cercato di tenere conto di questo fattore. Da tempo ero amica dei proprietari di un boutique hotel di Noto che mi chiesero di firmare un menù del loro ristorante. Mi sono rifiutata e ho proposto di gestire la ristorazione nella sua totalità. Ho sempre pensato che il Villadorata Country House fosse uno dei più bei boutique hotel al mondo e l’idea di creare un’oasi nella natura, che tanto ci è mancata durante la pandemia, mi piaceva molto. Così, a giugno 2021, abbiamo inaugurato il W Villadorata Country Restaurant e siamo rimasti aperti tutta l’estate fino al successivo lockdown, quando la Sicilia è tornata zona rossa.

Il 2022 invece?
Nell’ultimo anno abbiamo vissuto una situazione più vicina alla normalità, rimanendo aperti da Pasqua all’autunno. Nel frattempo, il progetto si è arricchito molto e ha visto l’ingresso dei miei due storici sous chef Ida Brenna e Matteo Carnaghi che hanno deciso di tornare a lavorare con me. A quel punto la mia società ed io abbiamo deciso di crearne un’altra il cui 30% sarebbe andato a Ida e Matteo, che oggi dirigono insieme a me la Sicilia. Io logicamente riesco ad andare una settimana al mese.

Come si posiziona il ristorante nel contesto della città di Noto?
Quello di Noto è un ristorante di fine dining ed è – a parer mio – una cattedrale nel deserto. La Sicilia è un mercato molto particolare, un territorio che l’alta cucina non ha ancora penetrato. Solo a Milano ci sono venti ristoranti stellati e la Sicilia ne conta in tutto quattordici… è il triplo della Lombardia, eppure è ancora resistente e ostica nei confronti dell’alta ristorazione. Noto, però, sta vedendo una crescita notevole di un certo tipo di turismo, che ama l’arte, la natura e apprezza la cucina di livello.

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Letizia Ceriani

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