Le aziende di salumi ripartono: dal territorio alla sostenibilità
di francesca corradi
La norcineria è un settore di punta nazionale che contribuisce al prestigio del made in Italy nel mondo. Il settore dà lavoro a circa centomila persone tra allevamento, trasformazione, trasporto e distribuzione con un fatturato che vale circa 20 miliardi.
Nel 2020, causa la chiusura del canale di bar e ristoranti, le aziende italiane di salumi hanno segnato un crollo della domanda interna. Tutto questo è stato compensato da una tenuta dell’export. Che siano piccole o grandi imprese, però, sono tutte strettamente legate a quelle dei loro luoghi di produzione, all’aria e all’umidità, a secoli di affinamento di determinate tecniche. Ed è proprio da questo valore che hanno deciso di ripartire.
A questo si aggiungono storia e tradizione. Non a caso gran parte di queste realtà cerca di contribuire a tenere vivi usi, costumi e ovviamente caratteristiche dei prodotti. Sono molti gli investimenti in informazione e cultura, soprattutto a livello locale. Dalla formazione e l’informazione destinata al personale, agli investimenti in progetti artistici e culturali, passando da progetti di utilità sociale.
Chi opera al di fuori dei confini sa bene che la qualità del made in Italy non è però legata alle sole materie prime. C’è tutta una serie di aspetti meno visibile, il cosiddetto stile di vita italiano. Si va dalla convivialità alla dieta (mediterranea), fino ad arrivare alle relazioni sociali e familiari.
Recentemente è nato un manifesto dell’istituto valorizzazione salumi italiani (IVSI). Qui si sono delineati i valori importanti e radicati nel DNA delle aziende della salumeria italiana – per tracciare insieme il percorso della sostenibilità del settore.
Il manifesto però non è che solo il punto di partenza di un percorso che ha portato le aziende a una nuova consapevolezza: pensare a modelli di governance che mettano al centro la sostenibilità.
Da migliorare invece è il gioco di squadra – non vedere gli altri solo come dei concorrenti – per poter migliorare, progredire e restare competitivi.
Un’altra sfida è l’apertura del mercato cinese ai prodotti a base di carne suina e bovina, dopo quella recente alle varietà da risotto del riso italiano.
Un passo avanti a questo proposito consisterebbe nella possibilità di inviare una più ampia gamma di prodotti di carne suina e di salumi a breve stagionatura, magari dall’intero territorio nazionale e da un numero maggiore di stabilimenti. L’idea è associare a tutto questo “una misura di sostegno più snella e flessibile, un credito di imposta, ad esempio, che potesse intervenire a sostegno degli investimenti aziendali finalizzati a ottenere l’autorizzazione a esportare in Paesi Terzi che richiedono misure differenti rispetto a quelle Ue. Se adottata a breve, potrebbe essere una misura di entità contenuta – già 50 milioni di euro sarebbero significativi – in grado di ridare fiducia al settore”, dichiara il presidente di Assica, Nicola Levoni.
Tutto questo potrebbe dare il giusto slancio alle nostre imprese per tornare a essere i primi esportatori di salumi.