Restworld, la community che mette in contatto ristoratori e forza lavoro

*a cura di letizia ceriani

Chef e imprenditori, ormai da un paio d’anno, lanciano appelli d’allarme sulla mancanza di forza lavoro nel canale Horeca. Nel 2020 nasce una startup che si pone come obiettivo quello di sanare il divario tra ristoratori e persone in cerca di occupazione, creando un punto di incontro, una community che oggi riunisce 40mila utenti. Restworld si fonda su tre principi, etica, sostenibilità e innovazione, e cerca di agevolare l’incontro tra chef e ristoratori e chi cerca lavoro nell’ambito.

Spazio alle startup. L’idea

Il team di Restworld

Restworld nasce da un team di giovani psicologi del lavoro e ingegneri – Luca Lotterio, Davide Lombardi, Edoardo Conte e Lorenzo D’Angelo – che decidono di occuparsi della valorizzazione del capitale umano all’interno dell’ecosistema della ristorazione. Negli ultimi due anni, infatti, nella ristorazione sono scomparse 45mila imprese e circa 300mila lavoratori hanno perso il proprio impiego.

«Il nostro obiettivo è quello di modificare il paradigma secondo cui la ristorazione è un’attività logorante basata su turnazioni esagerate, lavoro in nero e bassa qualità di manodopera mista a una bassa qualità ed etica imprenditoriale caratteristica del “ristoratore medio”. Vogliamo dare risalto a tutti gli imprenditori e imprenditrici che già valorizzano il proprio personale e fare in modo che si veda la ristorazione come un vero e proprio settore in cui investire e puntare a crescere», spiega Luca Lotterio (nella foto), fondatore di Restworld.

In un paese come l’Italia, a cui è riconosciuta l’eccellenza enogastronomica, è diventato sempre più cruciale porsi dei quesiti che siano costruttivi e dare vita a iniziative che possano far ripartire l’intero sistema.

Ad oggi, i ristoranti che si sono affidati a Restworld e che ne condividono i valori sono circa 640 e i profili di lavoratori supportati sono più di 47mila. Le posizioni lavorative a cui Restworld ha fatto da tramite sono circa 1500 e le persone che la startup ha aiutato ad essere assunte sono più di 500. Oltre a piccoli ristoranti e attività, Restworld ha attirato l’attenzione di aziende multinazionali come Burger King, Nima e Lavazza ed entro il 2023 punta a entrare in Europa. Il team di Restworld, che nel 2020 contava 4 persone, oggi ha raggiunto quota 20, ma l’obiettivo è arrivare a un team di 50 persone entro la fine del 2023.

«Grazie al successo del lavoro avuto con i piccoli ristoranti, anche le grandi catene si sono affidate a noi per selezionare i propri collaboratori, riducendo così le tempistiche per la ricerca di persone qualificate. Oltre a rinforzare la base clienti in Italia, il prossimo passo sarà arrivare anche in Europa e dare la possibilità di scoprire che c’è un altro modo di gestire i rapporti di lavoro tra ristoratori e dipendenti, un modo che porta benefici a entrambi», aggiunge Lotterio.

Ma cosa si nasconde dietro questo divario? Che cosa blocca le persone nel cercare lavoro in questo ambito?

«C’è in corso un cambio di paradigma – commenta Lotterio – Le persone accettavano di lavorare in questo settore in un determinato modo, ora quel modo non piace più».

Il cambiamento dovrebbe avvenire su più fronti: per quanto riguarda il salario, prima si pagava a turno, ora bisogna pagare a ore. Un altro aspetto importante è quello della formazione che, insiste Lotterio, «deve essere pianificata, studiata e attuata» e deve permettere di sviluppare skills – come l’uso del pacchetto Office, la conoscenza dell’inglese, l’utilizzo dei social – ormai indispensabili nel mondo del lavoro.

Una delle questioni più spinose riguarda le ore di lavoro e il tempo libero.

«Prima si lavorava finché non si chiudeva (logica del turno del salario), ora si lavora entro i limiti orari già prestabiliti – risponde Lotterio – una volta i giorni liberi erano 6 su 7, magari con turno spezzato. Ora almeno due a settimana, l’impresa assume più persone e si fa ruotare lo staff. Ci sono in tal senso le possibilità di strutturare orari multi-periodali, banche del tempo, utilizzare software per la gestione dei turni». 

Non possiamo non notare, però, che sotto i riflettori ci sia soprattutto una certa fascia d’età, quella dei giovanissimi, i cosiddetti Millennials. Che cosa non accettano?

«I giovani, la generazione Z in primis e i Millennials a seguire, non accettano il “come si faceva prima” perché semplicemente non fa parte della loro cultura, del loro approccio alla vita, che si può facilmente rappresentare con l’acronimo YOLO (“You Only Live Once”)».

Se, quindi, il lavoro “come era una volta”, non riesce a essere affascinante agli occhi dei neofiti, come fare?
«Bisogna orientare le proprie energie (di imprenditori e imprenditrici, associazioni, politiche attive) a ripensare, e ricostruire, il lavoro nel settore Horeca per renderlo affascinante, appagante e coerente con quelle che sono le necessità e le aspettative – e aggiunge – Bisogna chiedere ai giovani cosa vogliono, quali sono le loro aspettative dal mondo del lavoro e c’è bisogno che gli imprenditori capiscano che è importante dedicare del tempo a queste attività. Così come un ristoratore costruisce minuto per minuto un’esperienza positiva per i propri clienti, lo stesso deve fare per le persone che lavorano nel proprio locale».

Letizia Ceriani

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