La pizza: dal folklore all’alta cucina. Il fattore Pepe
Con il progetto Pepe in grani, l’artigiano moderno della pizza Franco Pepe ha saputo risollevare le sorti di Caiazzo recuperando attività in crisi e rilanciando le produzioni artigianali del territorio.
di francesca corradi
Dal locale di famiglia in cui lavorava alle dipendenze del padre, suo maestro, alla scelta di mettersi in proprio puntando prima sui grandi numeri e poi su un locale di dimensioni contenute, in cui ha ricavato anche la pizzeria più piccola del mondo, Authentica, e dove tutto ruota attorno al contatto e all’ascolto. Non più “strappo alla regola”, quella di Franco Pepe è una pizza che abbandona l’etichetta folkloristica acquisita nel tempo dall’alimento simbolo del made in Italy nel mondo per avvicinarsi all’alta cucina.
Non chiamatelo maestro, Pepe vuole essere chiamato semplicemente Franco. Generoso e umile, dai suoi occhi trapela la passione per il lavoro e un velo di orgoglio misto a commozione nell’essere riuscito a rilanciare il suo paese, Caiazzo. Per questo motivo sarà il primo pizzaiolo a ricevere, dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, l’onorificenza Cavaliere dell’Ordine “al merito della Repubblica italiana”.
Del pizzaiolo campano colpiscono il rigore e il senso di responsabilità con cui affronta il mestiere, anche quando sarebbe facile montarsi la testa. L’artigiano della pizza è infatti riuscito ad attirare a sé l’attenzione di esperti gastronomici da ogni parte del mondo e, anche all’estero, il suo nome è sinonimo di garanzia e attenzione verso un cibo di antica tradizione popolare. Sono inoltre centinaia, ogni giorno, le persone che raggiungono il vicolo di San Giovanni Battista, nel borgo dell’alto casertano con poco più di 5mila abitanti, per vivere l’esperienza di gusto by Pepe in Grani che nutre stomaco e mente.
Franco Pepe è inarrestabile e continua a macinare idee. A MAG ha rivelato i suoi prossimi progetti che comprendono l’apertura in un resort della Basilicata della sua nuova realtà gastronomica “Franco Pepe in Terrazza”.
Com’è iniziata la sua storia?
Sono nato in una pizzeria e ho trascorso la mia infanzia e la mia adolescenza vicino a papà che aveva imparato l’arte della panificazione.
La sua visione della pizza quando cambiò?
Nel 2005 incontrai Luigi Veronelli, uomo fondamentale nella diffusione e nella valorizzazione del patrimonio enogastronomico nazionale, che mi fece scoprire le potenzialità, fino ad allora sommerse, della pizza. Mentre lavoravo a Roma da Antonello Colonna inoltre ebbi l’onore di conoscere numerosi chef, tra cui Massimo Bottura, che contribuirono a modificare il mio punto di vista sulla pizza.
Cosa le ha insegnato l’incontro con l’alta cucina?
Dai grandi chef ho imparato a utilizzare le materie prime e rubato alcuni segreti e tecniche che ho poi impiegato per la preparazione della pizza. Considerando che tutti i pizzaioli sono degli artigiani, iniziai un percorso di ricerca che mi portò a tradurre i sapori ereditati dal nonno e dal papà in saperi che potevo raccontare ai clienti.
E poi cosa fece?
Insieme alla nutrizionista Michelina Petrazzuoli studiai un menù funzionale a base di pizza ottenendo un perfetto equilibrio tra carboidrati, proteine e lipidi, eliminando il concetto di “strappo alla regola” per dare vita a un alimento buono e nutriente che rispondesse alle necessità di oggi e del futuro.
E poi nel 2011 il grande passo…
Si, mi sono messo in proprio e in sei mesi ho costruito la mia pizzeria nel centro storico disabitato di Caiazzo, in un palazzo del Settecento ormai in rovina. Ci sono 140 coperti distribuiti in più ambienti tra cui la sala degustazione, quella belvedere e il dehors, progettati dall’architetto Beniamino Di Fusco.
A fine 2017 è arrivata Authentica…
Si, ho fatto un percorso a ritroso: invece di aprire nuovi locali mi sono ritagliato un luogo nel luogo dedicato a degustazioni e serate particolari in cui privilegiare l’incontro con le persone, come faceva mio padre. È la più piccola pizzeria del mondo: un forno, un bancone e un tavolo per otto commensali. In un’unica stanza si cucina, si cuoce e si serve il cibo.
Perché ha chiamato il suo progetto Pepe in Grani?
Si tratta di un gioco di parole che mette insieme il mio cognome e la mia offerta variegata, appunto in grani, in un luogo dedicato alla pizza, alla ricerca e all’accoglienza.
La sua è molto di più di una pizzeria…
Si, il progetto cresce tassello dopo tassello e il mio concetto d’accoglienza continua con le stanze da letto all’ultimo piano della struttura, dove la gente può pernottare dopo aver fatto un percorso di degustazione su misura.
Come definirebbe la sua pizza?
Una pizza “altra”, frutto di una solida storia di panificazione ma non tradizionale, lavorato con metodo e ricerca ma non sperimentale. Noi pizzaioli nasciamo come panificatori, non abbiamo l’esperienza dei cuochi. Io ho sentito l’esigenza di trasformare i saperi in sapori, ho quindi raccolto i segreti delle grandi cucine e delle loro tecniche e collaborato con Università e studiosi.
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Credits foto Franco Pepe: Damiano Errico