Perse oltre 117mila attività ristorative in dieci anni

di francesca corradi

La ristorazione nel 2020 ha visto perdere circa il 40% del volume di fatturato registrato nel 2019, anno dei record per la spesa alimentare fuori casa con un fatturato di 86 miliardi euro. Sono state ben 22.692 le imprese del settore a chiudere i battenti e 9.207, invece, quelle avviate, il dato più basso degli ultimi dieci anni. Il saldo tra le attività iscritte e quelle cessate è di -13.485, il secondo più negativo di sempre dopo il 2019.

Non se la passano bene Roma, Milano e Torino ma la città in assoluto che ha registrato l’incremento maggiore di locali scomparsi, rispetto all’anno precedente, è Firenze, con un +87% sul 2019. Il 2020 è anche l’anno che: ha registrato il numero più alto di sempre di attività registrate, aspetto determinato dalle numerose variazioni di codice ATECO; ha visto quasi sette locali su dieci lavorare con le consegne a domicilio e quasi un terzo degli imprenditori del settore avviare una dark kitchen oppure un brand virtuale.

Questi sono solo alcuni dei dati del Rapporto 2021 dell’Osservatorio Ristorazione che ha fatto un bilancio del settore, tra danni, sviluppo tecnologico e prossimi scenari.

Complessivamente, negli ultimi 10 anni, si sono perse 117.445 attività ristorative.

Il calo 2020 della spesa alimentare fuori casa, che è stata in costante aumento dal 2013, non rappresenta un colpo letale, seppure gravissimo e senza precedenti, nell’immediato, ma crea enormi danni sul lungo periodo, non solo per i titolari di imprese ma anche per tutta la filiera diretta e indiretta.

Protagonista indiscussa della pandemia è senza dubbio la tecnologia che ha dato una grande mano a dark kitchen e delivery internalizzato. Per ampi tratti del 2020 le uniche forme di fatturato possibile sono state le consegne a domicilio e l’asporto, con il conseguente proliferare di dark, grey, ghost e cloud kitchen, dando così corpo, in breve tempo a uno scenario difficilmente immaginabile in precedenza. Di oltre 11mila ristoratori in tutta Italia, il 77% dei locali ha deciso di intraprendere la strada del delivery e dell’asporto e, in piena seconda ondata pandemica, il 43% ha dichiarato di fare consegne direttamente, con propria flotta di rider e il 9% di utilizzare entrambe le modalità.

In Italia, l’utilizzo della tecnologia all’interno del ristorante si è però concretizzato anche nell’introduzione su larga scala di: menu digitali, prenotazioni online, self-ordering e pagamenti cashless. La tecnologia non sta rivoluzionando solamente sala e cucina, ma anche il modo in cui i clienti scoprono, scelgono, valutano e si fidelizzano.

Oltre alla crescente presa di consapevolezza dei costi di utilizzo delle piattaforme, che trattengono fino al 35% sul lordo degli ordini, c’è anche quella del vero tesoretto ovvero i dati dei clienti, comprese le loro abitudini di consumo. Chi ha convertito a fattorini i dipendenti di sala e cucina, e si è dotato di sistemi digitali di prenotazione e gestione dei dati, ha potuto utilizzare i contatti dei clienti, nuovi e abituali, “e sopravvivere così alle chiusure forzate con risultati migliori rispetto a chi ha esternalizzato le consegne”, dice Lorenzo Ferrari, fondatore dell’osservatorio.

Tutti siamo d’accordo nel dire che l’esperienza vissuta in presenza, nel locale, è insostituibile. La pandemia non ha che accentuato la differenza tra il mondo della consegna a domicilio e quello del sit-in e, contestualmente, ha contribuito a velocizzare il processo di sgretolamento della middle class. Questo avrà nei prossimi mesi forti impatti anche rispetto alla ristorazione, con l’aumento di attività alle due estremità, luxury e accessible convenience, per soddisfare ogni tipo di esigenza. “Perché la ristorazione, da quando esiste, non guarda in tasca a nessuno ma cerca di soddisfare i palati di tutti”, conclude Ferrari.

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