Pasta Sgambaro, la scelta di rimanere italiani al 100%

Il pastificio veneto non si fa lusingare dai grandi gruppi stranieri e con il nuovo riassetto societario rimane in mano alla famiglia fondatrice. Mentre la terza generazione è solida al comando la quarta muove il primo passo.

di francesca corradi

Fondato da Tullio Sgambaro nel 1947, l’azienda di Castello di Godego, in provincia di Treviso, è uno storico pastificio familiare.

Recentemente è stato protagonista di un nuovo riassetto societario. I fratelli Pierantonio, Roberto e Sandra Sgambaro hanno raggiunto il controllo dell’azienda decidendo di acquisire, tramite il veicolo societario GEN4, l’intero pacchetto di azioni sociali in mano ai cugini Flavio, Valentina e Maria Antonietta Sgambaro. L’accordo, inoltre, favorisce l’ingresso della quarta generazione della famiglia e conferma la volontà di restare indipendenti.

L’azienda trevigiana è una delle poche realtà medio-grandi del settore ad avere un mulino interno e utilizzare, dal 2001, esclusivamente grano duro prodotto in Italia: una scelta che da un lato assicura il controllo della filiera e, dall’altro, si traduce in un rapporto diretto e stretto con i fornitori.

Alla guida della realtà veneta, già da fine anni Settanta, ci sono Pierantonio e Roberto Sgambaro (nella foto). Oggi sono i due amministratori delegati con deleghe: il primo segue gli acquisti, la ricerca e il commerciale, il secondo la produzione.

Il pastificio chiuderà il 2020 in crescita del 6% superando i 20 milioni di fatturato: un trend positivo trainato anche dalle vendite estere, con un incremento superiore al 10%, e l’ingresso in nuovi mercati, sia in Europa che nel sud-est asiatico.

Pierantonio Sgambaro si dice pronto alle sfide e ha raccontato a MAG le strategie future del pastificio, anche per ampliare la presenza nei canali distributivi tradizionali e online.

Ci commenta il nuovo assetto societario?

Sono molto soddisfatto di aver raggiunto un importante accordo tra le nostre famiglie, che ha visto concentrare la proprietà della società in capo a me, mio fratello e mia sorella. Questo soprattutto favorisce l’ingresso della quarta generazione: una family business company con solidi valori e tradizioni, e una chiara visione del suo potenziale di sviluppo.

Avete avuto anche tante offerte di acquisto…

L’interesse ricevuto in questi ultimi mesi, anche da parte di multinazionali straniere, evidenzia le potenzialità di sviluppo della nostra azienda: Sgambaro rimane però italiana e non potrebbe essere altrimenti per una realtà che da vent’anni produce la sua pasta con solo grano duro italiano. Per il pastificio rimanere indipendenti significa garantire il rispetto dei valori che da sempre guidano le scelte aziendali. La sensibilità verso il benessere dei consumatori ci ha spinto a puntare alla filiera corta. L’attività di ricerca e sviluppo oggi è rivolta sia alla selezione di grani con elevate proprietà nutrizionali, ma anche allo studio del packaging.

Ci parla del prodotto?

Oltre il 50% della nostra pasta è biologica: farro (dicocco e monococco), grano, kamut, grano duro, grano Senatore Cappelli. Il biologico continua a beneficiare di una presa di coscienza delle persone, un prodotto più vicino all’ambiente anche in agricoltura: in questo e nei grani antichi, ci crediamo da più di 20 anni e ci siamo posizionati per la qualità del prodotto intrinseco.

Quello della pasta non è un settore semplice e bisogna sgomitare…
Ci sono circa duecento aziende che fanno pasta in Italia. Cinquanta i veri concorrenti a livello industriale. Non li considero competitor ma colleghi.

Cosa vuol dire 100% italiano?

In Italia si producono oltre quattro milioni di tonnellate di grano all’anno ma ne consumiamo 5,5 milioni. È quindi impossibile per tutti i pastifici fare 100% italiano ecco che la maggioranza delle aziende ha due linee. Noi, invece, utilizziamo grano esclusivamente made in Italy, per scelta: abbiamo detto basta al grano estero a partire dagli anni Novanta. Quando arrivavano i carichi, soprattutto dal Canada, ci davano fastidio i pesticidi presenti: nel grano estero le percentuali erano altissime, nonostante rispettassero i limiti di legge. L’unico sistema di controllo era italiano: abbiamo preso, quindi, una decisione radicale, principalmente per garantire sicurezza, e investito in agricoltori per avere grani di qualità.

In quali mercati siete presenti?

La vendita della nostra pasta si divide in: 52% gdo, 30% horeca, 18% estero. L’horeca in questi mesi è un settore in sofferenza ma le perdite d’affari sono state compensate dai buoni risultati provenienti dall’estero e dal consumer.

Geograficamente invece?

Siamo forti nel Nord Italia, per la non biologica soprattutto nel triveneto. Con la linea biologica, invece, siamo presenti sugli scaffali fino a Roma. Esportiamo in Israele, Paese che premia qualità e bio, nell’est del Canada, Giappone, Sud Africa. Siamo anche in Europa, in particolar modo in Germania. Stiamo, inoltre, lavorando da due anni sulla Cina e stiamo puntando verso gli Stati Uniti.

Nel mese di marzo avete avuto un forte exploit…

Sì, complice il lockdown in primavera abbiamo aumentato la capacità produttiva del 20% a fronte di una domanda domestica che ha segnato un +25% rispetto a febbraio. Le vendite all’estero sono cresciute del 40%. Il pastificio è arrivato a produrre ogni giorno oltre 120 tonnellate di pasta, contro la media di 100 tonnellate. Questo picco non si è ripetuto ma siamo riusciti a mantenere una buona media di vendita. La crescita deriva sia dal biologico che dalla pasta convenzionale.

Qual è la vostra carta vincente?

Più che altro…

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