Marco Parusso. La vita della vite

di letizia ceriani

Ci troviamo nella zona del Barolo, oggi uno dei vini più sofisticati e riconosciuti a livello internazionale. Ma «non è sempre stato così», spiega Marco Parusso, vignaiolo ed enologo che ha rilevato l’attività di famiglia negli anni ‘80 dando un’impronta originale, sulla scia del fenomeno dei “Barolo Boys”.

Secondo Parusso, il ciclo del vino è simile a quello della vita umana, va accudito per nove mesi ed è portatore di enigmatici linguaggi, colori, «notizie». La cantina si estende su 28 ettari e produce ogni anno 150mila bottiglie, dai vitigni di Dolcetto, Barbera e Nebbiolo (da cui si ricava anche il Barolo). Nel 2021 ha festeggiato 50 anni di attività.

Il lavoro dell’enologo sta nel concepire il vigneto come una squadra, sempre in cerca dei giusti equilibri. Per questo, Parusso introduce vere e proprie «diete personalizzate» per le piante, piccole azioni quotidiane volte a colmare le carenze e gli eccessi di cui naturalmente un terroir è teatro.

Non solo tecniche enologiche all’avanguardia, ma anche strade poco battute dagli esperti del settore, forse più rischiose ma sempre rispettose dei principi della moderazione ma soprattutto dei tempi della natura, selvaggia eppure perfetta, «dove ogni elemento, ogni dettaglio, ha un suo posto».

Marco Parusso, proprietario dell’azienda, ha raccontato a MAG la sua storia, la natura dei suoi vini e perché ancora oggi la Langa rimane un territorio di bellezza unica e rara.

La storia della famiglia Parusso affonda le sue radici nei primi del ‘900 con l’acquisto del primo vigneto nelle Langhe. Tutt’oggi la vostra è un’azienda a conduzione famigliare. Quali sono i pilastri del vostro modo di fare vino?

La storia della nostra azienda è più lunga dal punto di vista agricolo e inizia nei primi del ‘900 con il mio bisnonno che faceva il contadino. Poi mio padre ha iniziato a fare vino negli anni ’70. Deve sapere che in quegli anni quasi mai i contadini facevano vino, ma vendevano ai trasformatori. Sono poi nate le cantine sociali e mio nonno faceva parte della Cantina Sociale di Castiglion Falletto, nella provincia di Cuneo. Questa zona era molto povera, non c’era redditività e non c’erano giovani, scappavano via.

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Letizia Ceriani

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