Made in Italy agroalimentare negli Usa: la strategia vincente in 6 punti

Gli Stati Uniti rappresentano uno dei mercati di riferimento per l’export italiano e, in particolar modo, per quello agroalimentare. Si collocano al terzo posto (dopo Germania e Francia) tra i Paesi di maggiore meta per l’export del comparto, che rappresenta il 10% delle esportazioni totali agroalimentari per valore.

I punti di forza del sistema agroalimentare italiano sul mercato statunitense sono principalmente rappresentati dai suoi prodotti tipici e della cosiddetta dieta mediterranea. Questa condizione è inoltre favorita dalle positive condizioni di salute dell’economia americana, dall’altissima propensione al consumo e alla spesa e dall’impressionante velocità di assorbimento nel Paese.

Tuttavia, il quadro delle possibili politiche protezionistiche dell’amministrazione Trump potrebbe causare un danno sensibile alle esportazioni italiane verso gli Usa, con riduzioni di 1,4 miliardi di dollari in dieci anni. Per questo motivo, ridurre l’interscambio commerciale italiano agroalimentare alle sole attività di esportazioni non è più sufficiente: occorre modificare la strategia, focalizzandosi sull’investimento diretto nel Paese.

È questa la tesi dello studio “Il made in Italy agroalimentare negli Usa: una grande opportunità per l’industria italiana” di GEA-Consulenti di Direzione a cura del presidente Luigi Consiglio (nella foto).

Secondo l’osservatorio di GEA, internazionalizzare le aziende italiane significa vendere, o meglio ancora, produrre direttamente negli Stati Uniti. Rispetto ai 45 miliardi di export italiano in Usa, però, il numero di imprese nazionali con una base in America è ancora esiguo.

Lo studio riporta alcune case history di aziende italiane agroalimentari – e non – che hanno internazionalizzato con successo negli Stati Uniti, e che continuano nella loro espansione nel Paese (tra queste, ad esempio: Rana, Citterio, Zonin, Barilla, Ca’ del Bosco), definendo i sei punti-chiave della strategia vincente per internazionalizzare e investire direttamente nel mercato americano.

Sulla base della consolidata esperienza in materia di internazionalizzazione negli Stati Uniti, GEA ha individuato sei suggerimenti-chiave per gli imprenditori del settore, utili per strategie di ingresso vincenti:

1) Esserci. La quantità e qualità delle decisioni che vanno prese supera ogni possibile capacità manageriale. Non si può immaginare di agire per delega, la velocità di realizzazione ne verrebbe irrimediabilmente compromessa.

2) Adattare prodotti e gamma ai desideri ed alle preferenze dei consumatori. Bisogna mediare tra la nostra cultura e il bisogno di “farsi stupire” che il popolo statunitense esprime ad ogni scelta. Non è richiesto giudicare abitudini e desideri, ma solo interpretare, costruire, arricchire la propria gamma per venire incontro ai gusti di milioni di consumatori. L’effetto collaterale è, spesso, il miglioramento l’intera offerta dell’azienda, e non solo quella americana.

3) Investire direttamente negli Usa. La strada dell’export è utile per testare il mercato e cominciare a farsi conoscere, ma la via maestra per costruire una presenza importante e duratura è quella di entrare nelle filiere locali, costruire marchi che abbiano valore per quel mercato, diventare azienda americana a tutti gli effetti. La leva dell’origine e del saper fare rende il massimo solo così, reinterpretata e resa locale.

4) Costruire per tempo una squadra italiana disponibile a trasferirsi negli Usa. È quasi impossibile riuscire ad assumere personale capace e disponibile ad entrare in quella che il mercato americano legge come una start-up, con tutti i rischi che ne conseguono. La costruzione di una squadra in grado di installare e far partire le linee di produzione e gestire in modo fiduciario la parte amministrativa costituisce uno dei fattori critici di successo per uno sbarco americano.

5) Rendere l’azienda in grado di attrarre management locale di alta qualità. Il livello di costo è mediamente superiore al costo del management italiano e sono indispensabili head hunter credibili che sappiano far leva sui risultati aziendali ottenuti fuori dagli Usa per rendere il progetto interessante. Avere dirigenti americani capaci sulla parte commerciale e marketing è un altro dei fattori chiave di successo per questo processo di internazionalizzazione.

6) Capacità di costruire un team coeso ma multiculturale. Questo richiede doti di ascolto e comprensione del diverso, ancora abbastanza rari sul mercato italiano. La rigidità americana – unita ai vari spiriti di corpo espressi dalle diverse etnie come gli ispanici, ad esempio – rende l’amalgama molto sfidante. Siccome, nel medio termine, l’azienda deve diventare locale e quindi americana, per ottenere il massimo del risultato possibile, quella della creazione del team multiculturale coeso è il più importante e delicato dei fattori critici di successo.

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