Food Industry Monitor: l’alimentare cresce tre volte più del Pil
Grazie ad artigianalità, legame con il territorio e innovazione il food italiano registra un +3,1% . Il Food Industry Monitor è stato condotto da Ceresio Investors e Unisg.
La quinta edizione del Food Industry Monitor (FIM), che è stata presentata il 19 giugno a Pollenzo (Cuneo), mostra alti e bassi di un comparto in costante crescita. Secondo l’analisi nazionale condotta dal gruppo bancario Ceresio Investors e dall’Università di Scienze Gastronomiche (Unisg), l’alimentare made in Italy ha triplicato il Pil, un trend positivo che è destinato a proseguire nel 2019 e nel 2020, a tassi stimati di circa il 3% annuo.
“Il food è uno dei settori più forti del panorama italiano, con molte aziende capaci di eccellere grazie anche a una forte propensione internazionale. Queste aziende sono attualmente tra gli obiettivi principali dei fondi di private equity, il motore della maggior parte delle aggregazioni, e hanno ottime prospettive di crescita, grazie a fusioni, acquisizioni e ovviamente al supporto finanziario”, spiega Alessandro Santini (nella foto di copertina), head of corporate di Ceresio Investors.
L’osservatorio 2019 ha analizzato i dati economici e competitivi di 823 aziende di 15 comparti dell’alimentare, per un fatturato aggregato di circa 63 miliardi, rappresentative del 71% delle società di capitali operanti nel settore. Dallo studio emerge che i comparti che crescono maggiormente nel lungo periodo sono: farine, food equipment, caffè, surgelati, olio, packaging e vino, che hanno valori superiori alla media dell’intero settore (5,9%). La redditività commerciale nel comparto dei distillati è storicamente più elevata. Si rilevano buone performance anche per i comparti dell’acqua, dei dolci, della birra e della pasta, che hanno valori superiori alla media dell’intero settore. Altro settore interessante è quello del packaging.
Le aziende del food che puntano sull’artigianalità sono cresciute negli ultimi dieci anni molto più della media delle aziende che non hanno fatto la stessa scelta: questo fattore combinato con territorio e innovazione nei processi produttivi “promuove la crescita redditizia delle aziende del comparto: sia per quanto riguarda la redditività delle vendite (ROS), sia per quella del capitale investito (ROIC). L’artigianalità aiuta inoltre a sviluppare prodotti originali, venduti poi con un premium price”, specifica Carmine Garzia (nella foto sotto), relatore della ricerca, coordinatore scientifico dell’Osservatorio e docente di Management all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (Unisg).
Per la quasi totalità del campione (93%) del Food Industry Monitor la selezione delle materie prime è un punto fondamentale del processo produttivo. Il 68% delle aziende si avvale di fornitori artigiani o contadini e intrattiene con questi relazioni durature, sostenendone lo sviluppo. L’analisi delle strategie di comunicazione delle imprese rileva che, per la valorizzazione dei propri prodotti sul mercato, oltre il 70% delle imprese fa leva sul legame con la tradizione italiana e più del 50% fa leva sulle denominazioni d’origine o sui presidi Slow Food nelle proprie politiche di comunicazione. Per il 62% del campione, la strategia di comunicazione si pone in linea con i più recenti trend salutistici, ossia si avvale di denominazioni che richiamano i temi della salute e del benessere potenzialmente apportati dal prodotto promosso. Rivolgendo l’attenzione alle strategie di distribuzione delle aziende del campione analizzato, emerge che il 70% delle aziende non vende direttamente o tramite un canale che controlla e solo il 30% delle aziende possiede un proprio canale di vendita online.
Le performance reddituali subiscono invece un lieve rallentamento nel 2018 mentre si evidenzia una diminuzione del tasso di indebitamento del settore, che andrà ulteriormente migliorando nel biennio 2019-2020.