Agroalimentare italiano: per l’export verso il Giappone +51% in dieci anni
Nel primo quadrimestre di quest’anno, le importazioni di made in Italy dal Giappone sono cresciute di quasi il 13% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, superiore alla media di mercato che ha visto aumentare l’import totale di food&beverage di circa il 9%.
Il Giappone rappresenta il quinto mercato al mondo per import di prodotti agroalimentari. L’Italia pesa appena l’1,5% ma l’import di vino italiano è cresciuto a un tasso medio annuo (Cagr) del 4%, quello di formaggi del 5,9%, l’olio d’oliva del 7,5%. Con una popolazione doppia e un pil pro-capite superiore del 10% a quello italiano, il Giappone rappresenta un mercato di estremo interesse per il nostro export di food & beverage. Nel corso dell’ultimo decennio il valore degli acquisti dal nostro Paese sono passati da 537 a 865 milioni di euro, oltre al 50%. Anche i primi dati relativi al 2019 evidenziano un ulteriore crescita favorita dall’accordo di libero scambio, con l’abbattimento dei dazi – che per vino, pasta e formaggi vanno dal 15% al 40% – e delle barriere non tariffarie, in vigore dall’1 febbraio tra Ue e Giappone.
“Sebbene il Giappone pesi solo per il 2% sull’export agroalimentare italiano, la rilevanza di questo mercato è molto più strategica per alcuni prodotti, sia oggi che in prospettiva. Basti pensare all’olio d’oliva, dove il paese del Sol Levante incide per il 7% sull’export di questo prodotto del Made in Italy e arriva al 17% nel caso degli olii esportati dal Sud Italia – dichiara Denis Pantini, responsabile dell’area agroalimentare di Nomisma –. Il posizionamento di prezzo più elevato dei nostri prodotti riflette una composizione del paniere esportato di più alta qualità che a sua volta discende da una maggior attenzione del consumatore giapponese verso il made in Italy”. Non è infatti un caso se tra il 2013 e il 2018 l’export di Parmigiano Reggiano e Grana Padano in questo mercato è cresciuto a valore del 113%, quello di Gorgonzola del 109%.
“La survey che abbiamo realizzato in occasione del Forum su 1.100 consumatori giapponesi ha confermato l’Italia come il paese più rappresentativo del food di qualità nel percepito della popolazione, surclassando sia la Francia che gli Stati Uniti, questi ultimi principali fornitori di prodotti agroalimentari nel mercato giapponese”, ha evidenziato Evita Gandini, project manager dell’area agroalimentare di Nomisma.
Non tutti i consumatori, però, si dicono pronti ad acquistare a occhi chiusi un nostro prodotto: la stragrande maggioranza dei giapponesi, infatti, è sensibile al prezzo e razionale nelle scelte di acquisto.
“Nel settore agroalimentare come del resto in molti altri comparti della nostra economia, lo sviluppo dell’export è un processo complesso per le imprese, specie per quelle di piccola dimensione. Molto spesso per una pmi entrare in un nuovo mercato significa sostenere investimenti economici e di tempo per gestire procedure doganali, attività fieristiche, di comunicazione e distribuzione. Essendo partner di oltre 15mila aziende in Italia, possiamo affermare che le pmi che hanno maggior successo nell’export sono quelle che riescono ad accelerare la fase di ricerca degli importatori e distributori utilizzando i canali digitali ma anche riuscendo a individuare, avvalendosi di servizi specializzati, i potenziali partner prima ancora di investire in trasferte e attività di promozione su mercati lontani”, commenta Marco Preti, amministratore delegato di Cribis, la società del Gruppo Crif specializzata nella gestione in outsourcing di tutte le fasi del recupero crediti.