Tassoni, 10 milioni di ricavi tra tradizione e innovazione
La primissima bottiglietta di cedrata è stata prodotta nel 1955. In azienda, la conservano ancora come una reliquia. Ma la storia della Cedral Tassoni di Salò (in provincia di Brescia) ha radici molto più antiche. Risalenti alla fine del Settecento (1793). La Francia tagliava la testa al suo sovrano, Luigi XVI, mentre in un piccolo paese affacciato sul Lago di Garda una famiglia di speziali avviava l’attività che dopo un secolo e mezzo e ben due guerre mondiali avrebbe visto nascere il prodotto con cui il mercato e i consumatori identificano il marchio Tassoni da più di sessant’anni.
Inizialmente, i cedri utilizzati per produrre questa bibita erano quelli del Lago di Garda (Cytrus Medica). Oggi, invece, l’azienda realizza la sua cedrata utilizzando la varietà Diamante di questo frutto, proveniente dalla Calabria.
«I cedri vengono raccolti a mano in novembre e arrivano qui per la lavorazione», racconta a MAG, Elio Accardo, in Cedral Tassoni dal 2014, prima come direttore commerciale, marketing e comunicazione e poi, da maggio 2015, amministratore delegato della società presieduta da Michela Redìni (a cui fa capo il 75% del capitale azionario).
In fabbrica si procede all’asportazione del flavedo (la parte superficiale della scorza di questi agrumi) che poi viene messo a macerare in una soluzione idroalcolica con cui viene realizzata l’estrazione degli olii essenziali. «Il frutto invece torna in Calabria», prosegue il manager abruzzese d’origine e campano d’adozione che prima di trasferirsi a Salò, per Tassoni, ha lavorato come direttore vendite per la Fratelli Branca e per Martini & Rossi, «dove viene trasformato in canditi».
La produzione annua ha ormai raggiunto i 22 milioni di bottigliette. E nel 2017, il fatturato ha sfiorato i 10 milioni di euro (9,630 milioni per l’esattezza). «Viviamo una fase felice», dice Accardo, «cominciata nel 2014». In tre anni i ricavi sono aumentati del 25%. «Abbiamo invertito la rotta cominciando a puntare anche su nuovi prodotti.
Prima è stata la volta della Tonica Superfine, con aroma naturale di cedro. Poi, nel 2015, è arrivato il Fior di Sambuco, seguito nel 2016 dal Mirto in Fiore. «Uno dei punti di forza di questa azienda», spiega Accardo, «è che non si è mai fatta tentare dall’idea di scimmiottare gli altri. Facciamo quello che sappiamo fare e lo facciamo bene». Con ricette originali e ispirate al concetto di natura. Quest’anno, per esempio, è atteso il debutto di Pescamara. Si tratta di un soft drink ispirato alla ricetta di un dolce tipico della tradizione piemontese. I suoi ingredienti fondamentali sono il succo di pesca (16%) e un aroma naturale estratto dalle mandorle amare. Sempre nel 2018 è previsto il rilancio del Tamarindo Erba.
L’attività di ricerca e sviluppo (a cui l’azienda dedica annualmente un budget del 3-4% del fatturato) è una costante. «Se ne occupa il dottor Graziano Perugini che nel suo laboratorio in collina studia fiori, frutti e relative miscelazioni», racconta Accardo. «Con lui, ora, stiamo affrontando anche il discorso biologico».
In totale, Tassoni impiega 26 persone tutte attive nello stabilimento di Salò. Una delle cose che, dice Accardo, «non credo cambieremo mai. Perché la tipicità dei nostri prodotti è legata profondamente a quella del luogo in cui nascono. Produrre a ridosso di un aeroporto sarebbe comodissimo. Ma poi cosa andremmo a raccontare ai nostri consumatori, che facciamo la cedrata a Linate?».
Ad ogni modo, lo stabilimento di Salò è stato recentemente oggetto di numerosi investimenti per il suo ammodernamento. Tra i più cospicui, quello avviato nel 2017 che ha interessato l’intera linea di produzione, labelling e packaging, con l’introduzione di nuove macchine ad alta automazione e lean 4.0.
Altra cosa impossibile da cambiare è lo spot tivù con quella canzoncina intonata nientemeno che da Mina. «È praticamente intoccabile. Quando la gente la sente, sa che è arrivata l’estate».
Ma per il resto, dalla ricerca di nuovi prodotti a quella di nuovi mercati, Cedral Tassoni è una realtà che non sta ferma. E che non smette di stupire.
Accardo, quando è arrivato a Salò, ha scoperto, per esempio, che in azienda veniva realizzata anche una piccola produzione di spirits. «È accaduto quasi per caso», racconta. «Mi ero appena trasferito e avevo cominciato a lavorare in Tassoni da pochi giorni. Una sera, vado a cena all’Osteria dell’Orologio. Alla fine del pasto, il proprietario mi dice: “Ora ti faccio bere una cosa che fai tu”. E mi porta una sambuca. Buonissima». L’azienda ha una piccola produzione di alcolici che per ora ha deciso di riservare a ristoranti stellati o della zona.
Quella con l’alta cucina è un’altra delle sinergie che Tassoni riesce a realizzare spontaneamente. Anche con il suo prodotto di punta, che recentemente ha ispirato la creatività di chef come Anthony Genovese de Il Pagliaccio di Roma e sommelier come Giuseppe Palmieri, della Osteria Francescana di Massimo Bottura, che ha realizzato un cocktail a base di cedrata battezzato “Non lo so”.
Quanto ai nuovi mercati, dice Accardo, «abbiamo cominciato ad approcciarli nel 2015. E oggi l’export rappresenta circa il 5% dei ricavi. Siamo presenti in 22 nazioni dove andiamo con tutti i nostri prodotti: dall’Europa alla Corea del Sud, fino agli Emirati Arabi Uniti dove facciamo arrivare un prodotto realizzato ad hoc, nel rispetto dei principi halal».
Magari con l’apertura del capitale a un fondo di private equity o attraverso l’alleanza con una major del mercato, questo processo di crescita Oltreconfine potrebbe essere accelerato così come la differenziazione dei prodotti. Ma sul punto, Accardo scuote la testa. «Questa azienda», dice, «è come uno di quei gioielli di filigrana: bellissima e allo stesso tempo delicatissima. Qui le cose funzionano perché vengono fatte in un certo modo». Insomma, snaturarla sarebbe più un rischio che un’opportunità.
Del resto, se qui le cose funzionano da 225 anni, un motivo ci sarà.