Ristorazione, incognita lavoratori: ne mancano all’appello 150mila

di francesca corradi

La ristorazione riparte a pieno regime da martedì 1 giugno. Con il nuovo mese rialzano le serrande anche le 160mila attività che fino al 26 aprile scorso non potevano farlo, a causa del divieto di somministrare all’interno. Sono il 46% circa degli esercizi per il quale il lockdown si è prolungato di un mese e mezzo.

Con l’ingresso in zona bianca, inoltre, nei 9mila bar di Friuli Venezia Giulia, della Sardegna e del Molise è possibile ricominciare a bere il caffè al bancone. Proprio il divieto di questo rito quotidiano sembra aver provocato, in media, una perdita del 40% dei fatturati.

Mancano all’appello, però, pizzaioli, lavapiatti, personale di sala. Superato il problema della riapertura adesso rimane da affrontare una questione che sta mettendo a dura prova l’intero comparto: il personale. Le nuove misure hanno sì ridato nuova speranza al settore della ristorazione ma secondo Fipe-Confcommercio non ci sarebbero più circa 150mila lavoratori. Si sta parlando di 120mila professionisti a tempo indeterminato che, nel corso del 2020, avrebbero preferito cambiare lavoro e interrompere i contratti, compresi cuochi ai bartender di lunga esperienza, attorno ai quali, spesso, sono state costruite imprese.

In questa tanto attesa fase di ripartenza per il turismo italiano, anche Federturismo denuncia la difficoltà nel reperire sul mercato le professionalità e i profili normalmente in forza al settore durante i periodi di alta stagionalità. Forse sono proprio gli altri 20mila lavoratori che lo scorso anno lavoravano a tempo determinato e che oggi, anche alla luce dell’incertezza sul futuro, potrebbero preferire sussidi, come il reddito di cittadinanza, o altri lavori più remunerativi.

Si sta, infatti, assistendo al paradosso di un sistema che ha creato pochissime opportunità lavorative negli anni. In molti, ora, rifiutano di lavorare 10 ore al giorno per meno di mille euro al mese in busta, soprattutto nelle grandi città.

Quello della ristorazione è un lavoro che può essere gratificante ma sicuramente stressante e duro sotto l’aspetto fisico, anvhe a causa dei turni.

C’è anche una questione culturale di fondo. Oltreconfine ci sono stipendi diversi ma soprattutto un’organizzazione del lavoro differente che permette meglio di conciliarlo con la vita privata. Manca anche formazione. Molti giovani che escono dalle scuole spesso non hanno idea di cosa significhi stare in cucina. Di questo passo, proprio per questo motivo molte attività rischiano di sparire.

Secondo l’Osservatorio Inps sul precariato, nel 2020, sono andati persi 493 mila contratti a termine e di questi proprio 371mila occupati sono della ristorazione. Le cessazioni dei rapporti stagionali e dei contratti intermittenti sono state oltre 200mila: una vera e propria débâcle.

Se da un lato c’è l’imprenditore che non trova lavoratori e sembra offrire ghiotte e ben remunerate posizioni nel suo ristorante dall’altro c’è una burocrazia e una tassazione molto pesante e nel mezzo c’è il nero e lo sfruttamento dei lavoratori.

Staremo a vedere.

 

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