Lo chef Matias Perdomo rompe gli schemi

Lo chef stellato si conferma uno dei protagonisti della ristorazione, anche durante il Covid-19. Pensando “out of the box” e investendo su persone e tempo, negli ultimi mesi ha inaugurato diversi concept: dalla gastronomia allo street food.

di francesca corradi

Un vulcano di idee: Matias Perdomo (nella foto), classe 1980, ha reagito alla crisi diversificando la sua offerta  e inaugurando nuove insegne.

Dopo l’ultradecennale esperienza al Pont de Ferr di Maida Mercuri, a cui ha fatto guadagnare una stella Michelin, lo chef, nel 2016, diventa anche imprenditore con il ristorante Contraste.

Perdomo non è solo in questa sfida. Al suo fianco, fin dall’inizio, ci sono i soci e amici Simon Press  e Thomas Piras. Il terzetto, negli anni, ha messo a segno diverse aperture: da Exit Gastronomia Urbana al marchio di distribuzione di vini Abere, da Roc Milano fino a Empanadas del Flaco.

Il business, per lo chef uruguayano, “deve essere fatto di persone per persone”. Il fattore umano, che definisce “energia”, è alla base della sua filosofia. Il suo asso nella manica è di investire in modelli coerenti che gestisce direttamente e con una crescita esponenziale ma controllata.

A sei anni dall’inaugurazione del suo ristorante stellato è tempo di bilanci. Perdomo racconta a MAG la sua idea di ristorazione e cosa ne sarà del settore in futuro.

 

Qual è la sua idea di gestione del business e com’è cambiata negli anni?
In questi sei anni ho ideato dei concept che dialogano tra di loro, che sono autonomi nella loro identità di brand e business e che sono fatti principalmente da persone. Sarebbe stato molto più facile usare il nome di Contraste come “franchising” e per tutte le attività che ho avviato. Credo, invece, sia giusto che ognuna abbia una vita propria. Ho diversificato con dei concept nuovi che hanno un alto rischio: credo che vadano fatti dei modelli coerenti che abbiano una crescita esponenziale ma controllata. Preferisco avere tante piccole realtà ma mantenere il controllo diretto, anche se può risultare più complesso.

Quanto contano persone e tempo?

Il fattore umano non è solo un costo ma un’energia che incide sullo sviluppo del business. Oggi la più grande ricchezza, soprattutto in una città come Milano, è il tempo che si può sfruttare per pensare a come migliorare.

 

Qual è il futuro della ristorazione?

È molto difficile da prevedere. Noi ristoratori ci dobbiamo rendere conto che dobbiamo sviluppare un modello più flessibile e dinamico, cioè non avere un’unica offerta per sopravvivere.  La ristorazione è un lavoro difficile che richiede molto sacrificio. In questo post Covid-19 avremo difficoltà a trovare persone che ritorneranno a fare questo lavoro. Siamo stati tra i più danneggiati e bisognerebbe che lo stato diversificasse maggiormente gli aiuti. Sarebbe, senz’altro, una boccata d’ossigeno se venisse abbassato il costo del lavoro.

 

L’alta ristorazione dovrà cambiare qualcosa?
No, deve rimanere solida e con i suoi principi. Credo che in questo momento dobbiamo rilanciare l’alta gastronomia perché ha avuto sempre un ruolo importante nella società, è un ricordo indelebile che ha valore per chi viene a trovarci.

 

Cosa ci ha insegnato questa esperienza Perdomo?

Ci ha dato tanti stimoli e dimostrato che si possono fare delle cose solo se siamo disposti a uscire dalla comfort zone e pensare che il ristorante può non essere sempre aperto.

A proposito di sfide, la prima è stata nell’aver scommesso sull’alta ristorazione senza avere le spalle coperte da finanziatori. Ci fa un bilancio di questi primi sei anni? Cominciamo da Contraste…

Già il fatto di non avere chiesto alla banca ci ha dato tranquillità in termini sia di tempo che di pressione. In questi anni, io, Simon Press  e Thomas Piras siamo riusciti a metterci in pari e, prima del Covid-19, eravamo in utile. Con Contraste avevamo scelto di lavorare, dal secondo anno, sette giorni su sette solo la sera trovando così equilibrio e tempo per fare formazione e pensare e sviluppare nuovi concept, come poi abbiamo fatto.

Il secondo è stato Exit Milano – Gastronomia Urbana…

In piazza Erculea, a pochi passi da Corso di Porta Romana, ho trasformato un chiosco in un punto di riferimento della gastronomia urbana di Milano. L’obiettivo era offrire una cucina semplice, disponibile a tutte le ore del giorno, autorevole ma allo stesso tempo accessibile. Abbiamo cercato di fare ciò che ancora non c’era in Italia ispirandoci alle grandi capitali europee, come a Parigi dove ci si può fermare per strada per bere un calice di champagne accompagnato da ostriche, a tutte le ore. Ne è uscita una gastronomia urbana, un luogo aperto tutto il giorno per uscire dalla zona di comfort e sposare nuovi modi di vivere il cibo.

Ed è già pronto un Exit 2.0?
Siamo pronti per il secondo, in via Orti. Nonostante il nome è, però, diverso dal precedente. Con  Exit pastificio urbano  vogliamo proporre una serie di antipasti all’italiana – con qualche riferimento alla prima insegna come acciughe e fois grais – e poi pasta.

 

Non solo cibo, in questi mesi è nato Abere…

Si tratta di un progetto di importazione e distribuzione di vino pensato per professionisti. L’obiettivo è fare una mini rivoluzione che porti i ristoratori a ragionare sulle carte dei vini. Senza alcuna politica di prezzo o di moda si decide di uscire dai territori classici – come Borgogna, Toscana, Piemonte – lavorando in zone secondarie ma con conformazioni morfologiche e territoriali in realtà molto simili. Quello che fa la differenza è la cultura del produttore.

Il 4 dicembre avete inaugurato Empanadas del Flaco. Perdomo, come sta andando il progetto?

Il ristorante in via San Maurilio, non lontano da via Torino, è dedicato al piatto tipico della cucina popolare del Sud America. Il locale e il packaging sono ispirati alla tradizione e ai colori del mercato de La Boca.

Le empanadas in Sud America sono l’equivalente della pizza in Italia…

Si, sono un tratto distintivo e racchiudono…

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Foto di A.Ghirelli

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