Food delivery, potrebbe servire un piano b

di francesca corradi

Con le vaccinazioni e il contenimento dell’emergenza sanitaria, i ristoranti torneranno ad aprire le porte. Ecco che il food delivery, vero e forse unico protagonista del 2020, insieme all’e-commerce, potrebbe avere bisogno di un piano b.

Le piattaforme di consegna a domicilio hanno, in generale, registrato una crescita record degli affari lo scorso anno ritrovandosi a essere l’unico tramite tra locali e clienti. La pandemia non ha fatto altro che accelerare e, di fatto, cambiare la fruizione dei servizi di ristorazione, trasferendo l’esperienza fisica del ristorante e del servizio al tavolo verso l’esperienza del ricevere cibo a domicilio.

Invece di costruire un rapporto di fiducia con i ristoratori, le piattaforme sembrano però avere approfittato di questa posizione di forza sul mercato, arrivando a richiedere commissioni fino al 35%. Ai ristoratori sono rimaste sole le briciole ovvero margini del 10% a cui si è andata a sommare l’insidia delle dark kitchen, spesso gestite dagli stessi colossi.

Per le piattaforme di food delivery non è tutto rosa e fiori e sembrano esserci nuvole all’orizzonte. I risultati straordinari del 2020 rischiano di essere ribaltati.

Gli effetti della bolla già si intravedono negli Stati Uniti. Uno dei più grossi gestori di consegne a domicilio Usa, DoorDash, sta correndo i ripari cercando di sviluppare nuovi business.

Il perché starebbe nel boomerang innescato proprio da tanta crescita improvvisa con il conseguente investimento in un maggior numero di rider. Tutti questi fattorini assunti rappresentano un costo che fa assottigliare o annullare i margini.

Un altro segnale negativo arriva da Deliveroo e dalla quotazione alla Borsa di Londra, la scorsa settimana. “La peggiore Ipo della storia di Londra”, così l’ha definita il Financial Times.

Le ragioni di questo fallimento sono sia congiunturali che strutturali: gli investitori sono scettici a proposito del modello di business di Deliveroo. Tradotto il boom di ricavi non sembra essere andato di pari passo con i profitti. L’azienda ha, infatti, chiuso il 2020 con perdite per 224 milioni di sterline (263 milioni di euro circa). Probabilmente buona parte degli investitori istituzionali, in particolare diversi fondi di investimento, non ha voluto rischiare nell’acquisto del titolo.

Questo scetticismo è una novità importante per le compagnie della cosiddetta gig economy, che non hanno mai avuto grossi problemi a finanziarsi.

Ecco che si rende necessario un piano b. Per alcuni una soluzione potrebbe essere la “micro-spesa veloce” come sta facendo Glovo che ha annunciato l’apertura di 15 dark store fisici tra Milano, Torino e Roma, con l’obiettivo di inaugurarne 200 nel mondo per la fine del 2021. Un servizio di quick commerce complementare al servizio di spesa già offerto dalla piattaforma attraverso i supermercati.

Staremo a vedere quale nuova carta sarà giocata e se la gdo deve cominciare a preoccuparsi.

 

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