Finanza a tutto campo… e tavola

Quello alimentare è uno dei principali settori produttivi all’interno dell’economia tricolore, ma per mantenerlo competitivo non basta pubblicizzarlo o regolamentarlo, serve portare innovazione (si veda il numero 95 di MAG). Ma tra gli addetti ai lavori, come venture capital, startup e aziende, c’è ancora poco dialogo.

Secondo i dati AIFI-Pwc, il mercato italiano del private equity e venture capital nel settore alimentare ha registrato nel 2016 investimenti per un valore di 388 milioni di euro in 24 aziende e startup, in crescita rispetto all’anno precedente. Nel primo semestre 2017 ci sono state invece otto operazioni per un valore di 47 milioni di euro. Più attivo invece il private debt, nell’ambito del quale lo scorso anno sono stati investiti 102 milioni nel settore, rispetto ai 19 del 2016 (si vedano le tabelle). Si tratta quindi di un mondo ancora piccolo, se paragonato alle potenzialità del settore alimentare italiano, ma proprio in virtù di questo non potrà solo che crescere in futuro. Inoltre, oltre agli incubatori e al sistema di venture capital, anche le grandi aziende hanno capito il proprio ruolo in questa partita quale vettore per far crescere l’innovazione.

 

Startup e corporate

Il punto è che nel food «le startup non devono inventare il nuovo Snapchat, ma devono sviluppare un’idea che possa avere un’utilità all’interno della filiera e questa innovazione deve trovare applicazione sul mercato», ha spiegato –  nell’ambito dell’incontro Food, Tech and Finance: innovazioni per un cibo migliore e più sostenibile organizzato da Aifi, Venture Up e Hit -, Sara Roversi, fondatrice di Future Food. Si tratta di un hub che oggi vede 30 startup insediate «con le quali testiamo e sperimentiamo le loro soluzioni per aiutarle a presentarsi sul mercato e a trovare un contatto diretto con i consumatori» e nell’ambito del quale «cerchiamo anche di costruire progetti tra startup e imprese». Un esempio è quello dei Legumotti Barilla, la pasta fatta di legumi. Proprio Barilla è una delle aziende più impegnate in questo fronte. Per Michela Petronio, head of Barilla Global Discovery Center, «per le aziende investire nel corporate venture capital è una scelta quasi obbligata in quanto in queste realtà la ricerca e lo sviluppo sono attività continue». Lavorare con le startup è quindi un modo per «attirare nuove idee potenzialmente interessanti, che risolvono davvero un problema per l’industria» e per «immetterle sul mercato in modo da valutarne l’utilità». A tal proposito il gruppo Barilla ha lanciato poco fa il fondo Blu1877, un corporate venture capital dedicato alle nuove imprese innovative focalizzate nel mondo del food con l’obiettivo di «realizzare investimenti e soprattutto collaborazioni con startup in un’ottica di open innovation», ha detto.

 

I fronti dell’innovazione

«L’industria 4.0 è il fil rouge dal campo alla tavola», ha riassunto Roversi, secondo la quale

«il cibo del domani richiede lo sviluppo di modelli di innovazione che devono partire dal campo e arrivare fin sulla tavola, passando per il processing, il packaging, la distribuzione e la conservazione». Sono tanti quindi i fronti entro il quale si piò davvero migliorare il settore alimentare: si va dalla sostenibilità alla produzione, passando per il food care, ossia il trasporto del cibo, e l’agricoltura. Per Federica Camin, del centro ricerca e innovazione della Fondazione Edund Mach, istituzione attiva nella ricerca nel campo agrario, l’innovazione sta anche nella tracciabilità degli alimenti, quindi a favore della promozione dei prodotti, in particolare del made in Italy all’estero. «In Italia abbiamo infatti almeno 300 registrazioni tra dop e igp, il numero più alto a livello europeo, ma ci sono delle minacce a questo tipo di prodotti come ad esempio il cosiddetto Italian sounding – ha spiegato -. Ciò è legato alla tracciabilità, quindi dalla documentazione dell’intera filiera produttiva a opera del produttore stesso e a tutela del consumatore». Qui la tecnologia può intervenire partendo dalla chimica. «La tracciabilità è documentabile – ha osservato – ed esistono delle metodologie sempre più sofisticate che riescono a verificare la veridicità di quanto scritto sull’etichetta attraverso l’uso di campioni chimici e metodi di validazione stabiliti».

 

Agricoltura di precisione

Un settore in cui ci sarebbe molto spazio per l’innovazione è poi quello agricolo. A oggi l’agricoltura 4.0 in Italia vale 100 milioni di euro, ma si applica solo a meno dell’1% della superficie coltivata. «Il settore agrario è stato sempre tendenzialmente chiuso alle innovazioni, ma si sta aprendo e il comparto sta diventando più efficiente e automatizzata», ha spiegato Andrea Segrè, presidente della Fondazione Edmund Mach.  L’obiettivo è realizzare un’agricoltura di precisione. Per fare un esempio il gruppo vinicolo Cavit ha sviluppato – nell’ambito di un investimento di un milione in tre anni – Pica, una piattaforma informatica che raccoglie tutte le informazioni relative a tutte le 35mila particelle di terreno mappate al catasto, come ad esempio quelle sui tipi di suoli, le pendenze o le variazioni. «Tutte queste informazioni vengono poi messe in rete e confrontandole è possibile ricostruire la storia del terreno, le caratteristiche delle annate oppure quando in quel terreno è più consigliabile vendemmiare o irrigare», ha spiegato il direttore generale dell’azienda, Enrico Zanoni. Tutto ciò ha poi un impatto sulla qualità del prodotto e sulla sostenibilità ambientale, quindi sui costi.

I dati sono un elemento chiave nell’innovazione food. Ciò si applica ad esempio anche ai macchinari. «Esistono navigatori per i trattori moderni che indicano al dettaglio, basandosi sulla mappatura delle informazioni del territorio, il percorso da fare e quali strumenti utilizzare», ha raccontato Andrea Leonardi, business director mercato Italia della multinazionale Usa New Holland Agriculture, secondo il quale tutti gli sforzi hanno un comune obiettivo: «produrre di più utilizzando meno, cioè in maniera sostenibile». Quale sarebbe l’ideale? «Creare delle energy indipendent farm, ossia fattorie indipendenti che possono produrre energia attraverso gli scarti e alimentarsi in maniera autonoma». In un circolo positivo per tutti, da chi produce a chi mangia.  (l.m.)

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