Chiocciole, un affare da 220 milioni di euro

L’elicicoltura è in crescita e potrebbe generare 60mila posti di lavoro. È un mercato con ampi margini di guadagno, basti pensare che l’80% dei molluschi viene attualmente importato dall’estero.
di francesca corradi

Nutriente, sostenibile, ricca di proteine, il futuro della cucina italiana è la chiocciola. Quello dell’allevamento di questi molluschi gasteropodi polmonati rappresenta uno dei fenomeni più interessanti osservabili attraverso la lente del food business.

E in Europa, l’Italia è il Paese con la maggiore produzione di chiocciole seguito dalla Spagna e dalla Grecia. Nel mondo è invece la Turchia a detenerne il primato con oltre 15mila tonnellate all’anno.

Un mercato dall’altissimo potenziale se si pensa che il consumo di chiocciole in tutto lo Stivale registra percentuali di crescita esponenziale nell’ordine del +320%, secondo i dati Coldiretti.

Con l’elicicoltura 2.0 si sviluppa una nuova prospettiva per il settore, che non si esaurisce nella produzione primaria ma è capace di sviluppare una filiera completa in un’ottica imprenditoriale e in un’economica elicoidale. Il nuovo prototipo di elicicoltore ha infatti l’opportunità di proporre anche prodotti già trasformati – conservati o surgelati – e valorizzare il sottoprodotto più famoso, la bava di lumaca. Utilizzata nel mercato del beauty, del pet care, in ambito farmaceutico e medico e a livello didattico e turistico la chiocciola è a tutti gli effetti l’oro del futuro.

 

Il broker delle chiocciole Simone Sampò (nella foto), 45enne da tre anni alla guida dell’istituto internazionale d’elicicoltura, ha raccontato a MAG le enormi potenzialità di questo mercato che cresce a doppia cifra e potrebbe generare 60mila posti di lavoro.

 

Da sempre è un appassionato di chiocciole…

Ho abbandonato la facoltà di economica e commercio e ho deciso di girare il mondo in cerca di chiocciole. Non è stato facile perché per 25 anni sono stato deriso a cominciare dai miei coetanei che non credevano in questo business.

 

E ne ha fatto un lavoro…

Si, una partenza sfortunata perché quando ho cominciato c’era pochissima informazione e così nell’arco di due anni ho esaurito i soldi per mandare avanti la mia attività. In un viaggio in Libano ho convertito dei campi coltivati ad hashish in allevamenti di chiocciole, per il semplice fatto che ai contadini i molluschi fruttavano decisamente di più. Sono diventato quindi broker di chiocciole andando a selezionare e gestire l’import e l’export dei migliori esemplari di chiocciole al mondo: ne esiste un tipo di per ogni terroir e preparazione.

 

Poi nel 2016 è stato eletto direttore dell’istituto internazionale d’elicicoltura anno in cui è iniziato il boom del settore…

L’elicicoltura nasce negli anni Settanta in seguito a leggi che proibivano o limitavano la raccolta per salvare alcune specie. Per quarant’anni, però, questa attività non è stata redditizia, le tecniche di allevamento adottate fino al 2016 erano poco efficaci, produttive e dinamiche.

Per anni c’è stata la tendenza a improvvisarsi elicicoltori, senza seguire un modello preciso e senza usufruire di assistenza qualificata che permette di non incorrere nei tipici errori che possono compromettere i risultati dei primi anni, portando alla sfiducia e all’abbandono dell’attività. Attraverso l’Istituto di Elicicoltura ho cercato di costruire una rete capillare capace di offrire supporto, assistenza continua e tempestiva.

 

Chiocciola e lumaca che differenza c’è?
In Italia identifichiamo la lumaca come un animaletto senza il guscio e chiocciola invece con il guscio. Chiocciola suona decisamente meglio rispetto a lumaca e poi è questo il nome corretto.

 

 

Qual è l’indotto dell’elicicoltura?

In Italia il settore fattura 220 milioni di euro l’anno. La richiesta di chiocciole interna, per l’alimentazione, viene soddisfatta dalla produzione nazionale solo per il 20% generando ricavi di circa 40 milioni di euro. Gli impianti di allevamento di chiocciole in Italia sono 1030: la regione numericamente più ricca, con 130 realtà, è il Piemonte mentre quella più povera il Molise, con tre.

 

E il consumo è in forte aumento…

Sì, registrano percentuali di crescita esponenziale, +320% secondo i dati Coldiretti, a discapito della capacità interna di soddisfare la domanda. Il divario domanda e offerta ha, infatti, ampliato la forbice.

 

In Italia l’80% delle chiocciole proviene dall’estero. Da dove?

Nord Africa, Polonia e Romania. La maggior parte del prodotto è un animale di raccolta e non di allevamento.

 

CONTINUA A LEGGERE LA NOTIZIA A PAG. 159 DEL MAG 129.

 

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