Cesare Battisti: «La ristorazione cambia e noi con lei»

di letizia ceriani

La ristorazione milanese si trova oggi a un bivio: accettare i dati della realtà e fare un passo avanti, o rimanere un’eterna seconda nell’enogastronomia europea. Severe ma giuste le parole dello chef di Ratanà Cesare Battisti (in foto) che, intervistato da MAG, ha spiegato come la cucina e l’ospitalità della città lombarda stiano chiedendo un serio ripensamento. Ecco perché, da gennaio 2026, il ristorante aprirà a orario continuato: non più i canonici turni pranzo e cena, ma un turno unico, per non “spezzare” il ritmo lavorativo, creare posti di lavoro e diventare (finalmente) internazionale.

«A Milano ogni anno il turismo gastronomico, stando agli ultimi dati forniti da Federalberghi, porta introiti per oltre 90 milioni di euro. I ristoranti, soprattutto quelli storici, devono dare un servizio alla città che sia in grado di raccontare la cultura gastronomica meneghina senza imporre paletti o limiti di orari ai clienti», spiega Battisti.

Negli ultimi cinquant’anni, dati FIPE alla mano, il comparto del fuori casa italiano ha subito un’impennata costante: mentre nel 1970 le imprese attive erano poco meno di 154mila, oggi superano le 323mila aziende. Ma, di pari passo con l’aumento senza precedenti di locali e ristoranti, da qualche anno si fa urgente la crescente domanda da parte degli addetti ai lavori di ritmi più umani e meno stressanti e di ambienti di lavoro più sani. Le grandi dimissioni sono all’ordine del giorno. «Tocca fare i conti con le richieste dei dipendenti. Lamentarsi non serve a niente, questo lavoro sta cambiando e noi dobbiamo essere artefici di questo cambiamento. Sono convinto del fatto che lavorare diversamente e meglio porterà a un aumento dei posti di lavoro, ho molta fiducia nei giovani di oggi», continua lo chef.

I fattori in gioco sono molteplici. In primis, la formazione alberghiera che, stando agli ultimi report di Re.Na.I.A. – Rete Nazionale Istituti Alberghieri, non riesce a spiegarsi come il 94% dei diplomati non si immetta poi nel circuito della ristorazione. «È il modello ristorativo a dover cambiare. Al Ratanà lavorano 35 persone e in questi anni ho ascoltato, ho cercato di migliorare, ci siamo adattati. È da dieci anni ormai che siamo aperti sette giorni su sette; abbiamo fatto alcuni esperimenti, come al Remulass, inizialmente chiuso nel weekend. Ma abbiamo capito che privare i clienti di due giorni così preziosi non sarebbe stato economicamente sostenibile, né tantomeno desiderabile».

Nelle ultime settimane, la decisione di Trippa, il noto ristorante meneghino dello chef Diego Rossi, di chiudere nel fine settimana ha fatto molto discutere; in risposta, il fondatore della catena di pasta fresca Miscusi, Andrea Cartasegna, pur comprendendo le motivazioni del locale, ha rilanciato annunciando l’apertura dei 21 locali anche nel pomeriggio, con un conseguente adeguamento contrattuale.

In linea la decisione di Cesare Battisti, che conclude dicendo: «Chiudere per noi non è la soluzione, è limitante. Meno giorni comportano meno incassi, quindi stipendi più bassi. La vita in città oggi deve essere migliorata. La domanda è: Milano vuole davvero essere la capitale del food? Assumiamoci il rischio, osiamo».

Letizia Ceriani

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