Rosita Dorigo: «Cosa vuol dire “food designer”»

Il cibo può rappresentare un valido strumento di comunicazione. Ma solo se viene creato su misura del cliente o di un evento può esercitare davvero tutto il suo potere. Tra le nuove professioni che si stanno affermando nel settore dell’enogastronomia c’è quella del food designer, che ha proprio l’obiettivo di trasmettere un messaggio o di presentare un prodotto attraverso il cibo sulla base delle diverse situazioni ed esigenze.

La food designer Rosita Dorigo (nella foto), che proviene da una famiglia veneziana attiva da generazioni nel commercio del pesce di alta qualità ed è laureata con master in marketing, ha “inventato” questo lavoro negli anni Novanta e racconta a Foodcommunity.it in cosa consiste la sua attività.

Cosa fa concretamente un food designer?
Crea un prodotto sulla base di un bisogno, o viceversa. Oggi io lavoro come consulente per catering, chef, alberghi, per aziende di svariati settori nonchè produttrici di vino o alimenti e privati. Ho la partita Iva e lavoro a progetto.

Qual è il valore aggiunto che può dare un food designer?
Non c’è strumento di comunicazione più efficace del cibo al posto giusto nel momento giusto. È importante saperlo creare, per gusto ed estetica, su misura delle esigenze dei diversi clienti, che spaziano dalle case di moda alle gallerie d’arte, aziende di gioielleria o automobili, aziende vinicole o alimentari, oppure clienti privati, ma sempre occorre essere in linea con la loro immagine e il loro obiettivo.

Per esempio?
Una volta la padrona di casa che mi ha commissionato un lavoro era amante del colore verde, così ho creato cibo tutto verde, dando protagonismo alla personalità del cliente. Ho curato tutto, dalla scelta dei piatti all’attrezzatura, dal servizio alla costruzione dei piatti, che sono stati graditissimi dagli ospiti, i quali si sentivano coinvolti e consapovoli del gusto della padrona di casa.

Un altro caso emblematico?
Per l’azienda di gioielli De Beers, ho utilizzato una gelatina trasparente, uno specchio come base e dei faretti da gioielleria, dando così un vero effetto brillante. Al posto della gelatina sembrava che ci fossero diamanti, e per creare l’effetto di pietre preziose ho ideato gustosissime gelatine salate. L’effetto estetico è stato impattante, tanto che gli ospiti si chiedevano se fosse un buffet da “guardare” o… se si potesse mangiare! Una grande sfida, poi, è stato il lancio di un nuovo vino “Venissa”. Un vino che arriva di un vintigno secolare, ma al tempo sconosciuto. È stato entusiasmante coinvolgere gli amici chef di importanti ristoranti stellati nel creare insieme importanti cene di presentazione con menù “su misura” per valorizzare le caratteristiche del vino, che non veniva servito, ma solo raccontato attraverso il gusto dei piatti… il vino oggi viene richiesto in tutta Europa.

Quali sono stati i suoi studi?
Il mio percorso inizia con una laurea in economia e un master in marketing e comunicazione aziendale. Così ho approfondito anche la parte psicologica di un lavoro in cui bisogna dialogare con le persone in tante situazioni.

E le esperienze di lavoro?
Prima ho lavorato in banca a Padova e come giornalista dell’house organ dell’Associazione degli industriali di Padova. Poi ho imparato a conoscere la cucina e il vino, un mondo che mi ha affascinato sempre di più. Così sono diventata direttrice marketing della distilleria Alexander, poi ispettrice per la guida ristoranti Mondadori e poi per l’Espresso, e ancora sommelier, finché ho aperto una società di catering “tailor made”, modellato secondo le diverse situazioni.

La sua consulenza è anche nella ricerca degli ingredienti?
Sì certo, e poi la chimica in cucina fa miracoli: per questo è fondamentale la conoscenza della tecnica. Voglio sempre sottolineare l’mportanza di comunicare la “cultura” ovvero la conoscenza del cibo.

Lo ripete spesso anche Massimo Bottura…
Bottura è tra gli chef del mio network insieme ad altri grandi cuochi come Claudio Sadler, Giancarlo Morelli, Alfonso Iaccarino, Gennaro Esposito, Aimo e Nadia Moroni, Massimiliano Alajmo e Tano Simonato per citarne alcuni.

Ha dei progetti lavorativi futuri?
Mi piacerebbe valorizzare i sous chef perché sono il vero braccio dell’artista, che è lo chef. Oggi molto spesso i cuochi stellati sono fuori dai loro ristoranti e affidano la loro cucina ai sous chef che però restano anonimi. Invece hanno un nome e un volto, oltre a un ruolo fondamentale, e per questo penso meriterebbero di essere conosciuti dal grande pubblico. Il vero obiettivo resta comunque e sempre quello di creare il piacere dell’approccio al cibo attraverso la cultura e lo studio dell’offerta.

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