Ristorazione: sono 336mila le imprese, 1 su 3 è gestita da donne
Cresce il numero delle imprese della ristorazione rispetto al 2018. L’11,6% sono di proprietà di cittadini stranieri. L’elevato turnover resta un’emergenza.
Secondo l’ultimo censimento di Fipe, all’interno del rapporto 2019, sono 336mila le imprese della ristorazione attualmente attive, di queste 112.441 sono gestite da donne che scelgono, in un caso su due, di aprire un ristorante. Sono oltre 56mila le imprese, invece, gestite da giovani under 35 e 45mila quelle che hanno soci o titolari stranieri.
In impennata anche l’occupazione: nella ristorazione lavorano 1,2 milioni di addetti di cui il 52% donne e in maggioranza giovani. In 10 anni la crescita è stata del 20%, a fronte di un calo dell’occupazione totale del 3,4%.
“Il mondo della ristorazione– sottolinea il presidente di Fipe, Lino Enrico Stoppani (nella foto) – è un grande asset della nostra economia e un patrimonio, anche culturale, del Paese. I dati parlano chiaro: con 46 miliardi di euro siamo la prima componente del valore aggiunto della filiera agroalimentare, continuiamo a far crescere l’occupazione e contribuiamo alla tenuta dei consumi alimentari. Come settore acquistiamo ogni anno 20 miliardi di euro di materie prime alimentari sia dall’industria che dall’agricoltura”.
Dall’analisi in dettaglio del rapporto 2019, si scopre che sono un vero e proprio esercito le persone che ogni giorno fanno colazione o pranzano fuori. Nel 2018, tra bar e ristoranti, sono stati spesi 84,3 miliardi di euro, l’1,7% in più in termini reali rispetto all’anno precedente e che, nel 2019, ha fatto ancora meglio, arrivando complessivamente a spenderne 86 milioni di euro.
La ciliegina sulla torta di un decennio che ha visto i consumi degli italiani spostarsi al di fuori delle mura domestiche: tra il 2008 e il 2018, infatti, l’incremento reale nel mondo della ristorazione è stato del 5,7%, pari a 4,9 miliardi di euro, a fronte di una riduzione di circa 8,6 miliardi di euro dei consumi alimentari in casa.
Non è però tutto rosa e fiori. Esistono, infatti, alcune criticità strutturali nel mercato della ristorazione e alcuni fenomeni recenti. Da un lato il settore soffre ancora di un elevato tasso di mortalità imprenditoriale: dopo un anno chiude il 25% dei ristoranti; dopo tre anni abbassa le serrande quasi un locale su due, mentre dopo cinque anni le chiusure interessano il 57% di bar e ristoranti. Un dato che fa il paio con la bassa produttività di questo settore: il valore aggiunto per unità di lavoro è di 38.700 euro, il 41% più basso rispetto al dato complessivo dell’intera economia.
Nel corso degli ultimi 10 anni il valore aggiunto per ora lavorata è sceso di nove punti percentuali. La novità risiede invece nelle piaghe dell’abusivismo commerciale e della concorrenza sleale. Nei centri storici, nel corso degli ultimi 10 anni, si è impennato il numero di paninoteche, kebab e (finti) take away di ogni genere (+54,7%), mentre sono diminuiti i bar (-0,5%). Il pubblico esercizio deve fare i conti con una concorrenza ormai fuori controllo. Crescono soprattutto le attività senza spazi, senza personale, senza servizi soprattutto nei centri storici delle città più grandi.
“Questo – continua il Presidente Stoppani – dipende da una molteplicità di fattori: i costi di locazione sono diventati insostenibili, il servizio richiede personale e il personale costa, gli oneri di gestione, a cominciare dalla Tari, sono sempre più pesanti”.