Riflessione sulle origini: il Volta del Fuenti

di letizia ceriani

É l’ora del crepuscolo, pioviggina, e il Golfo di Salerno si tinge di arancione. A picco sul mare i Giardini del Fuenti si srotolano rigogliosi sulle pendici sul monte Falerio, occupando un’area di circa 2000 metri quadrati, dove la Costa di Amalfi comincia. All’interno di un progetto di riqualificazione e sostenibilità ambientale, gli spazi del Fuenti si dispongono a livelli; c’è il giardino mediterraneo pensile, che ospita un limoneto bar, l’arena, il beach club e ristorante Riva del Fuenti (con tanto di accesso privato dal mare), il ristorante Volta del Fuenti al piano zero, e presto anche le camere completeranno il piano hospitality.

Classe 1985, lo chef Michele De Blasio non è (ancora) sulla bocca di tutti, ma ha lavorato con tanti grandissimi, fra cui Alain Ducasse, Seji Yamamoto, Riccardo CamaniniAlfonso Iaccarino. Nel 2019 si unisce al progetto Giardini del Fuenti come Executive Chef, mettendosi alla guida di una brigata giovane, precisa e professionale. La sua idea di cucina è ambiziosa. Nei suoi piatti, come negli spazi, esterni e interni, pulsa un cuore tutto mediterraneo, fatto di colori e sensazioni. Il suo percorso gastronomico si muove alla ricerca di un punto d’arrivo sostanziale, dove gli ingredienti riescono a concentrare il gusto primitivo delle materie prime. I due menù degustazione sono declinazioni di questa tensione. Origini racchiude i piatti signature dello chef, Riflessioni ha qualche giro di tornante in più.

La carta dei vini contiene circa 480 etichette che spaziano dalle più note a quelle più di nicchia che strizzano l’occhio ai trend enologici del momento.

Una piccola nota sul benvenuto. Non capita spesso che i primi passi del viaggio riescano a dettare – come fanno solo gli ottimi prologhi – una vera dichiarazione d’intenti, ma qui accade. La tavola si riempie di piccoli amuse bouche, in sequenza di degustazione: una pralina salata con salamoia di oliva verde a mo’ di gelé, una creazione alla mandorla realizzata con mascarpone di mandorle, burro di cacao e salicornia, una tartelletta con spuma di patate, ragù di totanetti e polvere di capperi; alici affumicate in crosta di pane alle alghe, ger ponzu e primo sale a coprire; una lingua di gatto di farina di fagioli bianchi a forma di asinello vietrese (allevato in zona), con un ripieno di insalata di pere e muss’, tipico street food campano a base di piede di maiale e testa di vitello, infine una foglia di Parmigiano con una goccia di crema al limone bruciato e polvere di finocchietto di mare. Più che un valzer d’apertura, si balla la rumba.

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Letizia Ceriani

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