Poll-Fabaire Cuvée XXV Ans Brut: contro le omologazioni
di uomo senza loden
La rivista che ci ospita consegna alle stampe (virtuali) il numero 101. Come iniziare?
Il pensiero corre verso la Carica dei 101. In quel contesto, il cucciolo più simpatico è quello rotondetto, con il naso gelato e la coda gelata, sempre affamato. Il nostro preferito: intanto perché riconosciamo in lui il germe del buongustaio e, dunque, dell’amante del vino. Inoltre perché il nostro amico cicciottello ci ricorda come non vi siano soltanto padri, madri, fratelli e sorelle perfetti per taglia e distribuzione delle macchie, ma anche individui singolari i quali non si perdono in storie dissociate rispetto alla realtà. I 101 (oltre padre e madre) piccoli eroi a quattro zampe non si muovono in un contesto di finta avventura con servitù al seguito facilmente organizzabile da parte di agenzie specializzate in creazione di emozioni per cittadini sedentari. Le simpatiche creature fuggono dal destino di diventare pellicce: ma solo uno ha il coraggio di abbaiare fuori dal coro, addirittura tralasciando patinate e omologate convenzioni estetiche.
Non sono forse l’omologazione del pensiero, l’assenza di contatto tra negoziato (o contenzioso) e realtà, la superficialità della conoscenza delle norme, l’incapacità di interpretazione in assenza di precedenti (siano questi tratti dalla banca dati del nostro studio o di un sito, articoli di dottrina oppure sentenze stratificate) a minare non solo il senso della nostra professione, ma anche la natura intellettuale di ciò che siamo chiamati a compiere? O più semplicemente il nostro grado di interesse e soddisfazione?
Non che io creda nella mistica dell’avvocatura (specie chi come noi opera, in senso lato, nel mondo delle imprese) unicamente volta alla giustizia astratta e completamente insensibile ai ritorni economici, ma non trovo soddisfazione in attività ripetitive, fondate sul cut & paste, basate unicamente sul pensiero comune e facilmente disponibile. Ecco perché, almeno personalmente, non seleziono nuovi collaboratori sulla base dei loro titoli accademici o delle altisonanti attività e dealsche li hanno visti attori o comprimari. Tutto questo per me è scontato: a me interessa indagare nei meandri dei loro interessi al di fuori della professione alla ricerca del germe della curiosità e del pensiero eversivo.
Anche nel mondo del vino il rischio dell’omologazione è forte: assaggiamo quel che ci viene consigliato da riviste e (più o meno –spesso meno – probabili) guru, apprezziamo ciò che ricorda quel che già conosciamo o che ci viene detto essere meritevole. Non abbiamo il coraggio di dire: no, questo a me non piace. In questo modo, impediamo al nostro cervello di avere parametri nuovi sia per degustare in modo diverso prodotti noti, sia per avvicinarci a prodotti non rientranti nella nostra piccola sfera di rattrappita ortodossia. In sintesi: smettiamo di essere curiosi. Oltre tutto senza un senso della realtà: viticultura e vino sono ormai attività e temi globali i cui credo odierni saranno sconvolti dal mutamento del clima. Siamo come i 100 simpatici cuccioli, rigorosamente tutti uguali, dimentichi di freddo e fame e imminente trasformazione in pelliccia, insensibili al destino della nostra coda che sta per cadere congelata.
Ma noi, ospiti narratori e lettori di questa rivista, non facciamo parte di quei cento.
Poll-Fabaire Cuvée XXV Ans Brut, Crémant de Luxemburg, AOP Moselle Luxembourgeoise. Non solo un crémant, ma addirittura un crémant prodotto in un Paese che mai e poi mai accosteremo alla viticultura. Mente aperta, pertanto, verso un prodotto che non rientra nei nostri canoni o luoghi di elezione. Un giallo tra il paglierino e il dorato nel bicchiere e un perlage fine molto intenso appaiono tranquillizzanti. Parimenti tranquillizzanti i sentori al naso: lieve crosta di pane, limone, iris, un ricordo di fieno fresco, un’ombra di pepe bianco. E ancora burro, melograno, albicocca in brezza. Bene, siamo ancora tranquilli. In bocca: delicato, lungo, con note persistenti di albicocca secca e crème caramel. Adesso la parte forse inattesa (anche se siamo in zona Mosella) che può lasciarci perplessi: una traccia di dolcezza che in un brut non ci aspetteremmo e che non viene bilanciata in maniera ortodossa da elevata acidità (che in effetti, sorprendentemente data la latitudine, non rilevo) o sapidità. E’ meglio o è peggio? Inferiore o superiore? Nulla di tutto ciò: questo XXV (l’etichetta evidenzia questa caratteristica, devo dire in modo graficamente assai elegante) è semplicemente diverso. Forse, lo definirei un vino femminile: non solo per la sua complessità, ma perché sono convinto che una rappresentante del gentil sesso lo possa apprezzare molto prima di noi esponenti del sesso non gentile (oltre non vado: la cronaca di questi ultimi mesi dimostra quanto ciò sia drammaticamente vero). Indubbiamente non economico secondo i nostri parametri, XXV ci spalanca le porte del mondo crémant e ci indica nuovi elementi di degustazione.
Un vino, dunque, destinato ai curiosi, alle menti aperte, agli amanti della ricerca e del pensiero inconsueto.