Federolio: si riparte dalla certificazione della filiera extravergine
Nonostante la forte produzione di olio, 432 mila tonnellate nel 2017, l’Italia non riesce a soddisfare il proprio fabbisogno interno ed è costretta a importare. Questo è solo uno dei dilemmi che il settore oleario italiano si trova a dover affrontare. Gli addetti del settore lamentano la mancanza di “sistema” tra i diversi attori della filiera – dalla produzione, alla trasformazione, all’imbottigliamento, alla distribuzione e vendita – e la forte pressione promozionale a cui l’extravergine è sottoposto nella grande distribuzione organizzata, confondendo il consumatore, come si legge in una nota.
Valorizzare l’olio nazionale e frenare l’utilizzo dell’extravergine come prodotto civetta nella gdo certificandone la filiera, questi in sintesi gli obiettivi di Federolio, Coldiretti e Unaprol che hanno deciso di agire compatti in soccorso al settore.
Per le tre associazioni la soluzione passa attraverso una strategia a doppio pedale, dove nel pieno rispetto della trasparenza e della chiarezza, trovino spazio due tipologie di extravergini, uno italiano di alta qualità, nuovo nei valori e nelle modalità di distribuzione e consumo, in grado di rafforzare il primato del Paese, e una selezione più ampia di blend costruiti intorno ad un olio e a una reputazione di uno standard italiano, in attesa dell’auspicata crescita della produzione interna, come si legge in una nota.
Di questo si è discusso alla convention promossa da Federolio “Filo d’olio – segmentare per crescere. Nuove prospettive di consumo e di offerta”, giovedì 28 giugno a Roma, a cui hanno partecipato: Roberto Moncalvo, Presidente Coldiretti, David Granieri, Presidente Unaprol, Giuseppe Blasi, Capo Dipartimento Mipaaf, Mauro Meloni, Direttore Consorzio Ceq, e alcuni rappresentanti della gdo.
Durante il dibattito sono emerse anche alcune ipotesi di intervento nella salvaguardia dell’olio italiano: l’incremento della produzione nazionale di extravergine, attraverso la razionalizzazione della coltivazione degli oliveti tradizionali; il rinnovamento degli impianti e l’introduzione di nuovi sistemi colturali capaci di conciliare sostenibilità ambientale ed economica; la crescita di iniziative di valorizzazione del Made in Italy e più in generale di classi merceologiche di qualità superiore certificate dell’extravergine; maggiore sostegno all’aggregazione e organizzazione economica degli operatori della filiera.
In Italia esistono circa 825mila aziende olivicole con un patrimonio di oltre 350 cultivar differenti, ma solo il 37% di queste è competitiva per via delle dimensioni o della specializzazione olivicola medio bassa.
Stabile al primo posto tra i paesi importatori, con 531mila tonnellate nel 2017 e al secondo posto, con 411mila tonnellate nel 2017, tra i paesi esportatori dopo la Spagna, il Paese ha un primato anche nei riconoscimenti: in Europa vanta 46 prodotti a denominazione, il 40% del totale però purtroppo la produzione di olio certificato non supera il 2-3% del totale in quantità restando sotto le 10 mila tonnellate.
Ulteriore spunto di riflessione sono i risultati di una ricerca Doxa commissionata da Federolio per approfondire il rapporto tra gli italiani e l’olio d’oliva, presentati in occasione della convention. L’olio extravergine d’oliva è risultato di gran lunga il più utilizzato sulle tavole degli italiani, per l’85% del campione e viene scelto perché: è l’olio migliore da utilizzare, per il 36%, è un olio di qualità, per il 27%, ma anche perché fa bene alla salute, per il 18%. L’indagine ha mostrato anche una variabilità nel costo per l’acquisto con il 39% degli italiani che mediamente spende meno di 6 euro al litro, il 48% che spende da 6 a 10 euro e il restante 13% che va oltre i 10 euro.
L’acquisto avviene presso la grande distribuzione per quasi la metà del campione, il 56% degli intervistati, con un prezzo medio di 6,20 euro al litro ed una frequenza d’acquisto inferiore al mese. Il 33% lo acquista direttamente nel luogo di produzione con un prezzo medio che raggiunge gli 8,40 euro al litro con una frequenza di un paio di volte l’anno, per il 32%, e una volta l’anno, per il 26%.
Nella scelta dell’olio tra le caratteristiche prese in considerazione c’è l’origine e la provenienza italiana delle olive, per il 52% del campione, il rapporto qualità prezzo, per il 39% ma anche la trasparenza di tutte le fasi produttive, per il 31%, e una filiera produttiva certificata, per il 23%. Decisamente forte il legame con la produzione gestita da famiglie storiche che è rilevante per un italiano su 6. La motivazione è legata all’esperienza e alla qualità che i marchi legati alle famiglie storiche sono capaci di esprimere oltre che la capacità di valorizzare il Made in Italy.
La produzione di olio è concentrata principalmente al sud con la Puglia che da sola contribuisce con il 51,9% al totale nazionale, seguita da Calabria (13,6%) e Sicilia (11%). Lazio e Toscana raggiungono ciascuna il 4,3%.
Secondo Francesco Tabano, Presidente di Federolio “Il primo intervento riguarda una reale segmentazione del prodotto, che all’interno della categoria extravergine presenta oli con caratteristiche molto diverse tra loro e una conseguente forbice di prezzo che varia tra i 4 e 50 euro al litro o più. Per aiutare il consumatore a scegliere il prodotto più adatto alle sue esigenze, al suo gusto e alla sua capacità di spesa dovrà arrivare sul mercato un olio certificato, con una tracciabilità assicurata di tutta la filiera e caratteristiche organolettiche e chimico fisiche ben individuate. Un olio dalla cui etichetta il consumatore evinca in maniera chiara la “promessa” del prodotto stesso – ha continuato Tabano -. Attraverso la stretta collaborazione con le due realtà maggiormente rappresentative del mondo agricolo italiano – Coldiretti e Unaprol – Federolio intende battersi per un rilancio quali-quantitativo della produzione nazionale, sulla base di una visione comune fondata su pilastri quali: rilancio dell’olivicoltura italiana; valorizzazione del prodotto nazionale, come tale certo ma anche come componente di oli extravergini comunque inquadrabili in una tradizione di “saper fare” tipica delle imprese confezionatrici italiane ancora gestite dalle famiglie che le hanno fondate, che oggi hanno necessità di utilizzare oli di varie origini, anche a fronte dell’oggettiva mancanza di prodotto italiano in grado di coprire il fabbisogno interno e necessario all’export; necessità di una maggiore trasparenza e informazione verso i consumatori, da costruire nell’ambito di un rapporto nuovo con le catene gdo, i cui rappresentati debbono sedere allo stesso tavolo in cui avviene il confronto tra Federolio e Coldiretti-Unaprol, essendo oggi l’extravergine cruciale nelle politiche distributive e la Federazione profondamente convinta della necessità di sottrarre questo prodotto al ruolo di “traffic builder” e all’eccesso di campagne promozionali”.