Enrico Bartolini, l’uomo delle stelle
L’asso pigliatutto della ristorazione Enrico Bartolini è lo chef imprenditore per antonomasia. Il professionista toscano ha due mantra, territorio e persone, in cui investe moltiplicando il business
di francesca corradi
Chef e imprenditore. Da quest’anno, nel novero dei maestri di cucina tristellati con il suo ristorante al Mudec. Enrico Bartolini ha il suo headquarter a Milano dove nascono le idee e i progetti che poi vengono trasferiti negli altri ristoranti che ruotano attorno alle sue idee e ai suoi progetti: dal Glam di Venezia, da novembre due stelle Michelin, al Casual Ristorante di Bergamo Alta, e poi la Trattoria Enrico Bartolini di Castiglione della Pescaia e la Locanda del Sant’Uffizio in provincia di Asti. Forse non esiste una formula per il successo ma intuito, pianificazione e un po’ di disciplina lo hanno portato a essere il più stellato d’Italia.
Bartolini è un “cacciatore di professionisti” della ristorazione, da Remo Capitaneo (nella foto sotto, a destra) a Donato Ascani. Lo chef scova, in Italia e all’estero, giovani talentuosi che portino avanti un progetto collettivo e a lungo termine e a cui dà tutti gli strumenti per emergere. Non è da trascurare l’intuito dello chef nel trovare location più uniche che rare in cui investire.
Nella foto: Mario Capitaneo, Enrico Bartolini, Remo Capitaneo
A febbraio 2019, è stato inoltre arruolato dal gruppo assicurativo tedesco Allianz per ridefinire la cucina dei due ristoranti nel relais & châteaux del Chianti Classico – Il Poggio Rosso e l’Osteria del Grigio – e ha una quota nel concept di ristorazione Pandenus, realtà che nel tempo è diventata, a Milano, il punto di riferimento per la colazione e l’aperitivo, di cui cura in parte anche l’offerta ristorativa.
Da poco incoronato miglior chef imprenditore 2019, durante i Foodcommunity Awards, ha raccontato a MAG la strategia di business e i nuovi progetti che lo vedono protagonista, a cominciare dall’hotellerie, rivelando, inoltre, l’arrivo di due nuovi chef nel team.
Dicono che una stella in più o in meno faccia la differenza nel business. Lei che ne ha otto, cosa ne pensa?
Sono fiero di aver riportato tre stelle nel capoluogo lombardo e, in generale, essere sulla Guida Michelin è una grande pubblicità per ogni ristorante. Dal mio punto di vista, per ciò che riguarda il ristorante Enrico Bartolini al Mudec è accaduto ciò che desideravamo da anni ovvero ospitare clienti che vogliono celebrare il pranzo, non solo la cena, e vivere un’esperienza. Persone che si fanno decine se non centinaia di chilometri per raggiungere una destinazione e mangiare in un determinato posto, al di là di cosa c’è intorno. Le stelle però, in generale, alzano anche le aspettative dei clienti che, di fatto, sono le uniche persone che ti possono licenziare: abbiamo appena rifatto la sala del tristellato, in anticipo rispetto ai piani.
Dopo il Devero di Cavenago perché ha scelto di spostare il ristorante a Milano?
È la città, in questo momento, più facile per comunicare la mia cucina. Ha un’attività di moda e cultura che coinvolge il quartiere in cui si trova il ristorante. Il capoluogo lombardo è un fermento, è creatività, grazie anche ai molti colleghi che stanno facendo un lavoro egregio nella proposta gastronomica.
Come funziona il business della ristorazione?
Chi lavora in questo settore deve ragionare quattro anni in anticipo e, di conseguenza, aspettare altrettanti anni per vedere i frutti degli investimenti e far rientrare le spese. Credo, inoltre, che la cucina non debba essere raccontata a livello né di qualità né di fatturato.
Qual è la differenza tra Italia ed estero?
Sicuramente le tasse, quelle italiane sono tra le più alte in Europa e nel mondo. Ciò che incide di più in questo settore è senza dubbio il costo del personale, avere un’attività che non è in negativo lo reputo già un successo. All’estero mi sentirei, con la mia cucina, di dover in qualche rappresentare l’italianità, che non si può improvvisare. Mi reputo più bravo nell’innovazione che nella tradizione.
Quanto conta avere un gruppo finanziario alle spalle?
Personalmente non l’ho mai avuto e credo sia solo uno dei tanti strumenti di sviluppo che uno chef imprenditore ha a disposizione. Io, per esempio, ho sempre scelto la via dei finanziamenti bancari perché, soprattutto ultimamente, costa meno e non vincola nelle scelte.
Quando si decide di far entrare nel capitale un gruppo è fondamentale avere una certa complicità e visione delle cose altrimenti è un fallimento annunciato. Non nascondo che sono molto corteggiato ma non mi sono mai riconosciuto nel modo in cui operano i gruppi: non è una filosofia che mi appartiene quella di investire e poi, nel momento più proficuo, sfilarmi e vendere traendone guadagno.
Qual è la sua strategia nella ristorazione?
Il mio obiettivo è…
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Credits foto: Paolo Chiodini.