Il diritto di critica è servito: ecco la “ricetta”

di alessandro klun*

Il risalto mediatico riservato alle critiche severe che una food blogger statunitense ha rivolto ad un ristorante stellato salentino e ad una recente sentenza in materia di diffamazione favorevole a un notissimo chef (o meglio Masterchef visto il suo trascorso televisivo), hanno riportato in auge un tema che da tempo colpisce la ristorazione, ossia quello dei commenti e/o recensioni negative espressi da addetti del settore o clienti, amplificati dalla rete anche tramite piattaforme dedicate.

Senza scendere nel dettaglio di ciascuna delle citate vicende si può affermare, pur nella complessità  della materia, che dinanzi ad un giudizio negativo occorre tracciare una netta linea di separazione tra legittima espressione di un parere e/o di un commento di carattere esclusivamente soggettivo (ad es. il livello di cucina degustata o simpatia del personale di servizio) e una vera e propria recensione offensiva e denigratoria (è il caso, a titolo puramente esemplificativo, di una valutazione negativa rivolta ad un piatto che non ha mai fatto parte del menu del ristorante), come tale idonea a cagionare un danno per il suo destinatario.

Ne consegue che, se da un lato è assolutamente legittimo, ad esempio per un cliente insoddisfatto, manifestare il proprio disappunto, anche via web, quale libera espressione del proprio pensiero, dall’altro va precisato che l’ordinamento giuridico protegge la reputazione dell’individuo lesa dall’altrui attività diffamatoria.

L’espressione, anche on line, di un commento negativo impone di soffermarsi sul rapporto tra diritti costituzionalmente garantiti, ed in particolare, da un lato l’inviolabilità della reputazione, anche commerciale se riferita ad un’attività ricettiva e dall’altro la libera manifestazione del pensiero che si sostanzia nel diritto di critica o cronaca.

Posto che il diritto di critica ovvero di libera manifestazione della propria opinione o di «cronaca» previsto dall’art. 21 Cost. incontra un limite nella tutela dei diritti inviolabili dell’individuo (inclusa la reputazione) garantita dagli articoli 2 e 3 della Cost., per costante giurisprudenza tale diritto può intendersi legittimamente esercitato in presenza di specifici requisiti: a) veridicità del fatto; b) pertinenza, ossia pubblico interesse cui risponde la sua comunicazione; c) continenza, ossia corretta e civile, anche dal punto di vista formale, narrazione del fatto che non deve eccedere la finalità informativa e non deve perseguire un fine denigratorio predeterminato.

Ne deriva che quando un commento risulta non rispondere ai suesposti requisiti, non può dirsi scriminato dal legittimo esercizio del diritto di critica o cronaca, con conseguente violazione dell’altrui reputazione: in tale ipotesi il giudizio negativo potrebbe essere valutato come diffamatorio, esponendo l’autore a responsabilità, civile o penale, per i danni cagionati.

In altri termini esprimere un giudizio negativo, anche in rete,  riguardo un (dis) servizio  non genera responsabilità per chi lo esprime se quel giudizio corrisponde al vero, se è pertinente, se viene formulato con esattezza, correttezza e non è offensivo oppure quando rientra nel legittimo diritto di critica; al di fuori di questi limiti lede la dignità e la reputazione dell’attività e come tale è illegittimo.

Il tutto in un quadro giurisprudenziale che, fermi i suddetti principi e tenuto conto delle peculiarità di ogni singola situazione, pare in continua evoluzione verso la ricerca di un punto di equilibrio e di confine tra l’esercizio di tali diritti.
*A cena con diritto

FabioAdmin

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