Stefano Polato, uno chef spaziale

Il professionista veneto Stefano Polato, alla guida dello Space Food Lab di Argotec, ha rivelato a MAG cosa mangia un astronauta in orbita e le ricadute sul food degli esperimenti nello spazio.

 

È proprio il caso dirlo, Stefano Polato (nella foto) è uno chef spaziale. Classe 1981, il professionista è il responsabile dello Space Food Lab dell’azienda ingegneristica aerospaziale Argotec di Torino.

Se nell’immaginario collettivo, alimentato dai film sul tema, siamo soliti pensare che gli astronauti si nutrano con pillole o integratori ci sbagliamo.

 

«L’alimentazione in orbita deve essere il più possibile uguale a quella della vita quotidiana del professionista e il 99% del cibo somministrato è allo stato solido o semi-liquido. Non si tratta, inoltre, solo di nutrire ma anche appagare il gusto», afferma Polato.

 

E questo è ciò che fa lo Space Food Lab, una delle due uniche realtà di questo calibro presenti nel nostro Paese. Il laboratorio produce cibo per gli astronauti dell’agenzia aerospaziale europea (Esa). Però, mentre il 90% della dispensa a bordo, è fornito dai finanziatori della missione – Russia e Usa – Polato si occupa solo del bonus food ovvero dei piatti extra che vanno a integrare il piano nutrizionale tradizionale.

Lo chef ha supportato l’ideazione e la produzione del cibo di Samantha Cristoforetti (nella foto) per la missione spaziale Futura ma anche di altri astronauti come Luca Parmitano. Polato ha iniziato a lavorare per il laboratorio ne 2012, anche grazie al background nel campo della sana alimentazione e della cucina preventiva.

 

Il percorso di ricerca e studio, negli anni, lo hanno portato a esplorare nuovi sistemi di cottura e sviluppare nuove consapevolezze. Ricerche che si collegano a doppio filo con l’epigenetica svelando il legame tra età biologica e età cronologica. «Lo stress cellulare a cui gli astronauti sono sottoposti dentro le navicelle della stazione spaziale internazionale fornisce in questo senso preziose indicazioni. C’è la possibilità, infatti, di elaborare diete alimentari sempre più precise e sofisticate anche per le persone comuni», afferma Stefano Polato.

 

La missione rappresenta per l’astronauta una bella sfida anche per il corpo: prima, durante e dopo la spedizione. L’assenza di peso e le condizioni spaziali, infatti, alterano inevitabilmente le condizioni dell’astronauta che, una volta a terra, deve lottare per riportarle alla normalità. Gli esperti stimano occorra quasi un anno per un recupero totale. E se le missioni, in passato, duravano solo pochi giorni oggi possono raggiungere anche sei mesi e in qualche caso addirittura a un anno. Il cibo insieme all’attività fisica diventano perciò fondamentali per arginare l’invecchiamento cellulare e agire anche a livello ormonale.

 

«Le pietanze che vengono somministrate in orbita sono liofilizzate o termo stabilizzate: i piatti, già pronti, non vengono cucinati ma solo scaldati.

 

Nelle navicelle spaziali, infatti, non ci sono frigoriferi e il cibo deve riuscire a conservarsi, senza alterarsi. Nella maggior parte dei casi, i pasti sono contenuti in buste multistrato, e nel caso di alimenti liofilizzati queste sono dotate di una valvolina per l’inserimento dell’acqua. Il prodotto, inoltre, per essere consumato in assenza di gravità deve avere una certa densità, come quella del risotto», racconta lo chef.

 

Sostenitore dei prodotti locali, Polato è diventato esperto anche di tecniche di cottura avanzate, con cui produce per gli astronauti pasti in grado di conservarsi a lungo solamente grazie all’impiego di conservanti naturali. «L’ideale sono i piatti unici che vengono somministrati tre volte al giorno insieme a due spuntini, come è consigliato fare quotidianamente», afferma Stefano Polato.

 

Lo chef ha elaborato diversi piatti unici – composti dal 50% di verdure, il 25% da proteine e 25%da carboidrati – per Cristoforetti. «Tra i piatti più apprezzati in orbita c’è…

di francesca corradi

CONTINUA A LEGGERE LA NOTIZIA SUL MAG 136 (A PAG.140).

 

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