Vismara: «Aziende italiane, serve più managerializzazione»

Il business del settore food italiano sta vivendo un periodo di particolare dinamismo dal punto di vista finanziario. Negli ultimi anni sono state molte le operazioni che hanno visto le imprese dell’agroalimentare protagoniste, sia come prede sia come predatrici: dalle acquisizioni da parte delle “solite note” Ferrero, Granarolo e Lavazza, alle cessioni di aziende come Biondi Santi, Acetum, Peroni, Grom e D’Orsogna dolciaria a investitori stranieri.

C’è chi ha scelto la strada dell’m&a per la propria crescita, chi ha aperto le porte a un fondo di private equity e chi (vedi Orsero o la futura quotazione di Eataly) ha optato per lo sbarco in Borsa.

In questo scenario, a livello globale si stanno affermando dei trend come quelli dell’healthy food e dell’attenzione all’impatto ambientale della produzione di cibo, che sono sempre più centrali nella strategia e negli investimenti delle imprese (grandi e piccole) del settore.

Di tutto ciò e del ruolo delle aziende italiane, MAG ha parlato con Marco Vismara (nella foto), head del food & beverage group di Oaklins Arietti, società di advisory che negli ultimi cinque anni è stata protagonista di circa 80 deal, tra i quali la recente alleanza tra Baule Volante e Fior di Loto nel biologico.

Quali sono i trend principali nel food-business a livello globale?

Come Oaklins Arietti, vediamo grandi opportunità nell’healthy food e puntiamo su questo trend anche all’estero. L’healthy food rappresenta il più grande momento di discontinuità nel settore, oggi più che mai le aziende investono su diete che pongono attenzione alla salute e all’ambiente.

Ci sono ancora ampi margini di crescita?

L’healthy food è partito come nicchia, ma ora si sta trasformando in un settore sempre più portante con tantissimi brand. Molti di questi sono piccoli operatori che hanno necessità di crescere, ma anche le grandi aziende e la distribuzione stanno capendo che “you are what you eat”, se mangi meglio vivi meglio.

Qualche esempio?

Penso all’affare epocale Amazon-Whole Foods, ma anche a catene come Esselunga e Tesco con le loro linee di prodotti bio.

E i consumatori vogliono questo…

Sì, ed è interessante il tema dei prezzi: la gente è disposta a spendere in maniera incredibile per tutto ciò che è biologico, vegetariano-vegano (che diventa uno stile di vita), organico e gluten free.

Ciò si riflette negli aspetti finanziari?

Certamente, nel prossimo futuro prevediamo molta attività di m&a in questo settore.

Più a lungo termine, cosa accadrà?

Bisognerà pensare a come produrre cibo in modo efficiente senza impoverire il pianeta, grazie a nuovi macchinari e tecnologie. Questa comincia a essere un’area di investimento del venture capital soprattutto negli Stati Uniti.

Parlando delle aziende italiane, come valuta l’attuale scenario?

Premetto che sono orgoglioso di essere italiano perché, quando vogliamo, sappiamo fare qualità e innovazione meglio di chiunque altro. Ma purtroppo i nostri imprenditori sono ancora troppo provinciali, non solo nel food & beverage.

Cosa intende?

Le aziende italiane sono fortissime, ma restano tradizionaliste e familiari. Le seconde e terze generazioni fanno ancora fatica a parlare inglese, i figli entrano in azienda troppo presto, invece di farsi le ossa all’estero. C’è una tendenza a restare sovrani del proprio giardinetto, con una mentalità limitata. Le imprese straniere sono molto più avanti di noi su questi aspetti.

Anche il passaggio generazionale spesso è un problema…

In Italia abbiamo tanti highlander, imprenditori che continuano a guidare le loro aziende senza “managerializzarle”, pensando che il private equity sia un affronto.

Invece?

Se fatto in modo intelligente, il private equity è uno strumento molto importante per crescere, internazionalizzarsi e strutturarsi a livello di governance.

Qual è il valore aggiunto di un’operazione di private equity?

È un modo per crescere di mentalità e abituarsi a ragionare nell’azienda secondo la logica del rapporto azionista-manager. Spesso questo è difficile da accettare per un imprenditore, ma è un’operazione che aiuta a supportare l’espansione internazionale dell’azienda.

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