Web influencer, questione di trasparenza

In un’era dove per le aziende è fondamentale presidiare il mercato online, come è possibile garantire trasparenza nella comunicazione degli influencer per evitare pratiche commerciali scorrette?

Le imprese utilizzano tra i loro principali canali di marketing il cosiddetto “influencer marketing”, una forma di pubblicità che vede protagonisti i cosiddetti web influencer, personaggi di riferimento del mondo online che, attraverso post sui social network rivolti ai loro follower, mostrano sostegno per determinati brand, percependo un compenso (o prodotti omaggio) dalle aziende di cui parlano.

Tale attività, però, presenta diverse zone d’ombra perché spesso la finalità pubblicitaria della comunicazione non è palese agli occhi dei consumatori.

E la visibilità di un prodotto all’interno di un post, di una foto o di un video, senza che sia chiarito l’obiettivo promozionale della comunicazione, rischia di trasformarsi in pubblicità occulta, quindi in una pratica commerciale scorretta.

LA LETTERA DELL’AGCM

Per questo l’Istituto di autodisciplina pubblicitaria (Iap) ha pubblicato le proprie raccomandazioni a riguardo, suggerendo l’uso di espressioni che rendano palese la natura pubblicitaria del post, immagine o video.

Recentemente anche l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) è intervenuta sul tema attraverso l’invio di lettere di diffida ad alcuni dei principali web influencer e alle società titolari dei marchi visualizzati nelle immagini da loro condivise.
L’Agcm ha esortato gli influencer a utilizzare hashtag come #pubblicità, #sponsorizzato, #ad (abbreviazione dell’inglese advertising) per chiarire al consumatore-follower l’intento commerciale dei loro post.

«Dopo aver ricevuto la lettera, ho iniziato a utilizzare sul mio blog espressioni come “in collaborazione con” e hashtag come #ad», ha raccontato Chiara Maci (nella foto), foodblogger e web influencer che MAG ha incontrato a margine dell’incontro “Web influencer e trasparenza nella comunicazione” tenutosi il 24 ottobre nello studio legale BonelliErede. Secondo la foodblogger, però, «l’inserimento di questi hashtag, spesso confusi tra numerosi altri hashtag e comprensibili da poche persone, non basta a risolvere il problema e servirebbe una normativa più specifica per tutelare il consumatore».

Dall’altro lato, l’inserimento di hashtag che esplicitino il fine pubblicitario della comunicazione rischia di far perdere follower sui social network agli influencer. Ma secondo Maci, che ha un background nel settore marketing e una laurea in Giurisprudenza, «è importante che l’influencer scelga le aziende clienti dal punto di vista etico e in modo coerente con la propria strategia di comunicazione».

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