«Questa birra fa schifo». É diffamazione?
*di alessandro klun
Giudizio negativo su birra artigianale espresso in una fiction Rai. La Cassazione esclude la diffamazione. Si conclude così una vicenda sorta con la messa in onda il 1° giugno 2017 sul primo canale Rai di una puntata delle serie TV “Tutto può succedere” in cui in un dialogo tra due attori veniva evidenziata la modesta qualità della birra artigianale.
In particolare, il dialogo “incriminato” così recitava testualmente: “Mamma mia, assaggia bene e dimmi se è potabile questa bevanda […]. Queste birre non valgono quello che costano […] Non si può bere, fa schifo […] Prima (il fornitore) aveva tutte birre normali, quelle che si trovano, poi si è buttato sulle birre artigianali”.
Parole che, ritenute lesive dell’onore e della reputazione dei birrai artigianali, hanno indotto l’associazione Unionbirrai, anche in rappresentanza dei Piccoli Birrifici Indipendenti Italiani, a rivolgersi all’Autorità Giudiziaria dinanzi alla quale conveniva la RAI Radio Televisione Italiana per accertare la violazione del diritto all’onore e alla reputazione conseguente alla diffamazione a mezzo della televisione della birra artigianale.
Il Giudice di Pace di Milano, investito della questione, partiva dal presupposto che l’espressione di un giudizio che non è frutto di una critica, quale diritto costituzionalmente garantito, ma di una denigrazione gratuita e lesiva, è idoneo a cagionare un danno non patrimoniale che va risarcito per violazione dell’immagine commerciale in quanto “l’immagine di un’impresa si esprime anche nella considerazione che di questa hanno i consociati o singole platee a cui la società specificamente si rivolge”.
Prosegue il Giudice osservando che “I prodotti audiovisivi, infatti, impongono con grande forza nella mente degli spettatori immagini di luoghi, colori, cibi, bevande, mobili e vestiti, inducendo veri e propri stili di vita in senso generale a amplissimo, dando un grande contributo alla distribuzione e vendita di tutti i prodotti utilizzati durante le riprese” con conseguenti possibili riflessi negativi sulla vendita delle birre artigianali da parte del dialogo in oggetto.
Secondo lo stesso Giudice, “i birrai artigianali hanno subito una lesione al decoro professionale con conseguente discredito commerciale nel settore lavorativo in cui operano ove vi sono continui confronti con i più favoriti e conosciuti birrifici industriali e commerciali” e che il danno che va risarcito consiste nella “diminuzione della considerazione della categoria, sia sotto il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei settori e delle categorie con le quali la persona giuridica o l’ente di norma interagisca”.
Sulla base di tali argomentazioni il Giudice conclude con la condanna della convenuta al pagamento in favore dell’attrice di una somma pari a 3000 euro a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, atteso il carattere diffamatorio del dialogo oggetto del giudizio oltre alle spese di giustizia (Giudice di Pace di Milano, sez. IV Civile, sentenza n. 5695/19; depositata il 27 maggio).
A seguito di successive impugnazioni la vicenda è giunta alla valutazione della Suprema Corte la quale ha rigettato definitivamente la richiesta risarcitoria di Unionbirrai con conseguente condanna al pagamento delle spese di lite osservando che il “dialogo oggetto di contestazione appartiene ad un’opera creativa e non costituisce espressione del diritto di cronaca per il quale sono applicabili i criteri della verità anche solo putativa dei fatti, della continenza formale e della pertinenza, cioè dell’interesse pubblico alla notizia; essendo la fiction televisiva un’opera di fantasia, ad essa sono analogicamente applicabili i criteri giurisprudenziali elaborati in materia di opere letterarie”.
Pertanto, le “affermazioni della fiction sono inserite in un’opera di fantasia e sono, nella specie, peraltro, strumentali alla rappresentazione dell’incapacità di uno dei protagonisti della gestione appena intrapresa dell’attività commerciale, la cui labilità e genericità è incompatibile con la portata diffamatoria lamentata dall’associazione”.
*a cena con diritto