Ortofrutta: Cia, Italia al 19esimo posto per logistica
Settore da 15 milardi, ma costo autotrasporto doppio rispetto a Germania e Spagna. Export +32% in 10 anni, ma competitor più veloci. “Patto di sistema” per rilancio post Covid-19.
Con un quarto della produzione agricola nazionale per un valore di 15 miliardi di euro, l’ortofrutta si conferma un comparto cruciale del made in Italy. Eppure le potenzialità di sviluppo e rilancio sui mercati interni ed esteri sono enormi. Da un lato l’ortofrutta sconta ancora un gap infrastrutturale con criticità nella logistica e nelle fasi di stoccaggio e distribuzione, e dall’altro soffre una crescente pressione competitiva globale con un progressivo peggioramento nel rapporto concorrenziale con altri Paesi produttori. Due questioni da capovolgere con strategie di sistema per sfruttare al meglio anche il cambiamento impresso dal Covid-19 alle abitudini di consumo. È quanto emerge dall’ultimo webinar “Il valore nell’ortofrutta, dalla filiera al sistema” organizzato da Cia-Agricoltori Italiani.
Per ridare slancio al comparto, prima di tutto occorre agire sulle infrastrutture.
Il Logistic Performance Index della World Bank assegna all’Italia solo il 19esimo posto, contro il primo della Germania e il nono del Regno Unito. Basti pensare al costo per chilometro dell’autotrasporto pari a 0,43 euro in Italia, quasi il doppio rispetto ai competitor tedeschi e spagnoli.
“Il cambiamento di cui parliamo non può che passare da qui. L’Italia ha un grande divario infrastrutturale – ha detto il presidente nazionale di Cia, Dino Scanavino – che, attraverso gli 800 milioni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dedicati allo sviluppo della logistica nel settore agroalimentare, dovremo affrontare e superare: riduzione della spesa e dell’impatto ambientale del sistema dei trasporti, digitalizzazione dei servizi, miglioramento delle capacità di stoccaggio, dell’accessibilità ai servizi hub e della capacità logistica dei mercati all’ingrosso”.
Tutto nell’ottica di rinnovare la catena di distribuzione e ampliare le tradizionali relazioni di filiera, per costruire un vero e proprio “patto di sistema”. L’obiettivo è di arrivare a una più giusta ripartizione del valore (oggi su 100 euro spesi dal consumatore, solo 6/8 euro restano in tasca all’agricoltore). A questo si aggiunge il raggiungimento di maggiori standard di sostenibilità.
Altrettanto fondamentale è riguadagnare competitività sul fronte export.
Sebbene nel pieno della pandemia le esportazioni di ortofrutta fresca dall’Italia siano cresciute più della media del quinquennio precedente il posizionamento dell’Italia a livello globale sta perdendo quota. Nei Top 10 Exporter di ortofrutta fresca nel mondo, il Belpaese è nono in classifica. Si contano 5 miliardi di fatturato sui mercati stranieri e +32% in dieci anni. Nello stesso lasso di tempo, Usa, Spagna e Cina hanno raggiunto un giro d’affari annuo tra i 14 e i 17 miliardi nel 2020, +100% rispetto al 2010. Competitor che corrono più veloci, quindi, in particolare “l’avversario” storico di Madrid.
In un decennio, infatti, la differenza nell’export ortofrutticolo tra Italia e Spagna è triplicata a +228%. Colpa anche della burocrazia. Il “time to export” dell’Italia è il doppio di quello spagnolo e quasi il triplo di quello olandese e Usa.
“Considerando anche le sfide a cui è chiamato il settore, come il Green Deal, non sono più rinviabili gli interventi necessari a recuperare i gap di competitività con i competitor, né quelli finalizzati a rendere più efficiente la filiera a livello nazionale – ha evidenziato Scanavino -. Interventi che riguardano sia il Sistema Paese che le singole imprese, sfruttando tutte le opportunità offerte dal Recovery Plan, dalla Pac alle nuove relazioni commerciali nell’area del Mediterraneo […]”.
E in questo quadro, ha concluso Scanavino, “il patto di sistema tra tutti gli operatori della filiera è condizione indispensabile per la vera ripresa e la necessaria resilienza […]”.