La ricetta di Granarolo fra m&a e internazionalizzazione

Se l’agroalimentare registra nel complesso un periodo positivo in termini di giro d’affari, il settore lattiero-caseario in particolare vive ancora una crisi che solo l’internazionalizzazione sembra poter risolvere.
In Italia, infatti, dal 2010 il mercato del latte «ha perso consumi per oltre 320 tonnellate di prodotto», afferma Giampiero Calzolari (nella foto), presidente di Granarolo.
Eppure l’industria lattiero-casearia, con oltre 39 mila occupati e tremila imprese e un valore di produzione superiore ai 18,6 miliardi di euro, che ne fa la terza in Europa dopo Germania e Francia, rappresenta ancora un segmento importante dell’alimentare italiano, soprattutto oltreconfine, con le esportazioni che, stando ai dati di Intesa Sanpaolo, hanno registrato volumi pari a 2,8 miliardi.

Ed è proprio a una crescita per acquisizioni all’estero che Granarolo, la società per azioni bolognese controllata al 77,48% dal Consorzio Granlatte, che unisce oltre mille produttori, assieme agli altri azionisti Intesa Sanpaolo al 19,78% e Cooperlat al 2,74% ha deciso di puntare, oltre che all’apertura a nuovi prodotti come la pasta o il prosciutto.
Per farlo, l’azienda può contare su un bilancio in crescita: il 2015 si è chiuso con ricavi consolidati pari a 1,078 miliardi di euro, il 3,9% in più rispetto all’anno precedente.

Un risultato spinto, non a caso, delle vendite all’estero, cresciute del 15,3% in area Ue e del 170% in area extra europea.
Un contributo particolare è arrivato poi della divisione “derivati” (formaggi ecc), con 633 milioni di ricavi e una crescita del 12,1%, mentre è scesa la business unit “latte e bevande”, con un fatturato a 445 milioni (– 5,9%). Nel complesso il risultato netto di gruppo è di 18 milioni, più che raddoppiato rispetto all’anno
precedente.

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