Il vino italiano non supera la muraglia cinese

Il mondo del vino italiano è in buona salute. Ma potrebbe stare ancora meglio se parlasse una sola lingua all’estero, se ricevesse un maggiore aiuto dalle istituzioni e se sapesse cogliere la sfida del digitale in Cina. È quanto emerso da uno studio presentato a Milano da Federvini e Fondazione Edison che illustra il valore della filiera vitivinicola italiana nell’economia nazionale e internazionale.

L’industria enologica del nostro Paese ha conosciuto nel 2015 una forte crescita trainando l’intero comparto delle bevande alcoliche: le esportazioni hanno raggiunto i 7,3 miliardi e il saldo commerciale ha registrato un avanzo di 5,8. Di questi i vini di uve hanno contribuito con 5,4 miliardi di export e 5 miliardi di surplus commerciale. E le previsioni della vendemmia 2016 confermano l’Italia primo produttore mondiale di vino con 48,5 milioni di ettolitri.

Secondo l’Indice Fortis-Corradini, elaborato per conto della Fondazione Edison che calcola le eccellenze competitive nel commercio internazionale in base al saldo commerciale, l’Italia nel 2015 si è posizionata al secondo posto nel mondo (dietro alla Francia) per saldo commerciale in vini di uve in bottiglia e in vini spumanti, e prima in assoluto in aceti, liquori, vermouth e amari.

A livello territoriale, solo quattro regioni valgono la quasi totalità delle esportazioni. Nel 2015 il Veneto si è confermato la principale regione italiana esportatrice di vini e bevande alcoliche con oltre 2 miliardi di euro di valore, segue il Piemonte con 1,4 miliardi, in leve calo rispetto al 2014 (-0,8%), la Lombardia con 1 miliardo di export e la Toscana con 930 milioni, entrambe in crescita. Le tre province top sono Verona, Cuneo e Treviso che da sole esportano per oltre 2,3 miliardi di euro sui 7,3 totali. L’industria dei vini e delle bevande risulta essere di fondamentale importanza per l’economia del territorio di alcune province italiane come Trento, Siena e Asti in quanto ne rappresenta il principale settore per valori di export, o il secondo settore nel caso di Verona, Cuneo e Venezia.

«Ma questo frazionamento rappresenta anche un limite», sottolinea Sandro Boscaini, presidente di Federvini e patron di Masi Agricola. «Occorre uno sforzo maggiore da parte di tutti i soggetti della filiera e delle istituzioni per una promozione del Made in Italy nel suo complesso». Boscaini ha quindi esortato un intervento della politica «per la tutela e la valorizzazione dei prodotti con maggiore sensibilità culturale». Secondo Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente all’Università Cattolica di Milano, «servono soprattutto le iniziative di promozione commerciale fatte in maniera istituzionale e non frazionata: non ci servono mille attori che vanno a proporre 10mila prodotti specifici, ma ci serve creare un’attenzione sui prodotti italiani, presentandoli anche come originali rispetto ai tanti casi di “Italian sounding” che vanno a coprire quote di mercato che potremmo occupare».

Questo discorso vale soprattutto se si guarda ai Paesi di destinazione: nel 2015 per i vini da tavola il podio è occupato da Stati Uniti (+12,5% sul 2014 a 994 milioni di euro), Germania (-2% a 717 milioni) e Regno Unito (+0,4% a 378 milioni) seguiti da Canada, Svizzera e Scandinavia. Per gli spumanti, il primo importatore è il Regno Unito (+30,7% a 368 milioni), poi gli Usa (+18,8% a 286 milioni) e la Germania (+0,1% a 245 milioni). Manca la Cina, dove l’Italia è solamente 16esima tra gli esportatori di vino e 19esima per gli spumanti. «Qui il problema – ha spiegato Boscaini – resta la frammentazione delle nostre imprese e le loro ridotte dimensioni. Bisogna puntare su pochi marchi forti e riconoscibili, non sulle innumerevoli denominazioni italiane». In Cina, ha aggiunto, «la situazione è imbarazzante, la Francia ci surclassa. Serve un’Italia, non 20 Regioni». Al contrario in Usa, Germania e Regno Unito «si può andare nello specifico regionale perché qui, a differenza della Cina, ha aiutato la nostra immigrazione».

Interpellato da Foodcommunity.it, Boscaini si è mostrato scettico sull’efficacia dell’e-commerce che «fattura 30 milioni l’anno e non decolla, perché l’approccio al vino è più personale». Ma il risultato del “Tmall 9.9 Global Wine & Spirits Festival”, la giornata del vino sulla piattaforma cinese del commercio elettronico Alibaba, dimostra che nel mercato asiatico si può avere successo sfruttando le potenzialità di internet.

Dal primo incontro tra il premier Matteo Renzi e il fondatore di Alibaba Jack Ma in occasione di Vinitaly lo scorso aprile, le aziende vitivinicole italiane presenti sulla piattaforma cinese sono passate da due a 50 con oltre 500 etichette. E il 9 settembre l’Italia si è piazzata al secondo posto per rappresentanza su Alibaba dietro alla Francia. In un solo giorno sono stati registrati ben 100 milioni di acquisti singoli di vino e spirits (di cui 50 milioni da nuovi acquirenti Alibaba).

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