Bollicine e Made in Italy: la ricetta di Lunelli

di Gabriele Perrone

Il Made in Italy deve puntare sulle sinergie tra le sue eccellenze nei settori della moda, del design e dell’enogastronomia per valorizzare il proprio patrimonio nel mondo. Ne è convinto Matteo Lunelli (nella foto), presidente e amministratore delegato di Cantine Ferrari, il brand simbolo del prestigio delle bollicine italiane, oggi capaci di confrontarsi coi migliori champagne francesi.

Artefice in prima persona della crescita del marchio, Lunelli è stato premiato come “Brand Hero” al Save the Brand organizzato da legalcommunity.it, financecommunity.it, inhousecommunity.it e foodcommunity.it. A MAG ha spiegato le strategie di sviluppo dell’azienda e la sua visione della promozione del Made in Italy nel mondo.

Dottor Lunelli, nell’ambito dell’eccellenza enologica italiana, qual è la mission di Cantine Ferrari?

Il Ferrari Trentodoc è espressione della viticoltura di montagna del Trentino, al quale è da sempre intimamente legato. Vuole essere il brindisi degli italiani per eccellenza ed esprimere nel mondo la gioia e l’arte di vivere italiana.

Quali sono state le vostre strategie di brand per far diventare Ferrari l’icona dello spumante italiano nel mondo?

La nostra comunicazione è prevalentemente basata sul below-the-line e punta sulla presenza ad eventi importanti nel mondo delle istituzioni, dello spettacolo e dello sport per costruire un posizionamento di alto livello in momenti di grande emozione che danno visibilità al brand.

Qualche esempio?

L’album dei ricordi è vastissimo, ma possiamo citarne alcuni. Pensando alle istituzioni, le bollicine Ferrari sono state il brindisi di diversi eventi al Quirinale, al G8 e con i nostri Trentodoc si è brindato al 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia. Nello spettacolo, siamo stati il brindisi della Mostra del cinema di Venezia e degli Emmy Awards, mentre nello sport il nostro brand ha accompagnato la vittoria della Coppa del mondo di calcio nel 1982, le Olimpiadi, le imprese di Alberto Tomba nello sci e siamo il brindisi ufficiale della Juventus.

 Cos’altro vi distingue?

La fedeltà ai nostri valori, primo su tutti la qualità, che viene riconosciuta da opinion leader e consumatori e da premi come quello di “Sparkling Wine Producer of the Year” conquistato al concorso internazionale The Champagne & Sparkling Wine World Championships.

Oggi le bollicine italiane possono essere considerate un’alternativa di alto livello allo champagne?

Assolutamente sì. Dopo oltre un secolo di storia la denominazione Trentodoc rappresenta un vino di eccellenza e sempre più opinion leader e consumatori riconoscono la qualità delle bollicine italiane. Abbiamo la nostra tradizione, identità e personalità.

Sembra che oggi nessuno voglia più usare la parola “spumante”: lei cosa ne pensa?

La parola “spumante” è quella tecnicamente adeguata per definire un vino con bollicine frutto di una fermentazione naturale. A livello internazionale, però, lo spumante è talvolta assimilato a un vino dolce e non di alta qualità. Noi preferiamo utilizzare la denominazione Trentodoc e la parola “bollicine”, che tra l’altro piace molto ai giovani consumatori.

La vostra azienda è familiare, ma allo stesso tempo managerializzata (il direttore generale da fine 2015 è Beniamino Garofalo). È questo il giusto modello di business nel mondo del vino?

Essere un’azienda familiare è un punto di forza per garantire il rispetto dei valori e degli obiettivi di lungo periodo. Non dimentichiamoci che il vino richiede tempo e pazienza. Dall’altro lato una struttura manageriale è necessaria per competere oggi sul mercato globale, per avere una organizzazione efficiente e poter investire con solidità in ricerca e innovazione.

Quanto è stata importante la sua esperienza precedente nella banca d’affari Goldman Sachs?

Posso definirla una “grande scuola”, è stata fondamentale per la mia preparazione di manager, per acquisire un metodo di lavoro, per fare esperienza in un contesto internazionale e per conoscere culture diverse. Ciò mi dà lo spunto per un’altra riflessione…

Prego…

Nel Gruppo Lunelli abbiamo creato un patto di famiglia che, tra le altre cose, prevede il requisito di aver fatto esperienze in aziende, possibilmente internazionali, prima di entrare attivamente nella nostra realtà.

Quanto è cresciuto il vostro fatturato negli ultimi anni?

Per quanto riguarda Cantine Ferrari, siamo passati dai 50,2 milioni del 2014 ai 56,2 milioni del 2015 e abbiamo chiuso il 2016 a quota 63,6 milioni. Per il 2017 è prevista un’ulteriore crescita. La nostra stima per il futuro è quella di una crescita moderata in termini di quantità perché non vogliamo scendere a compromessi con la qualità. Pensiamo però che ci sia spazio per innalzare il valore del posizionamento di Ferrari puntando all’eccellenza e al prestigio della marca.

Quanto conta l’export sul totale e quali sono i vostri mercati principali?

A livello di gruppo, l’export vale il 25% del fatturato, quindi ci sono ancora ampi spazi di crescita. Il nostro mercato principale resta l’Italia, ma registriamo ottimi risultati e vediamo grandi opportunità di sviluppo negli Stati Uniti, in Germania e in Giappone.

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