Cucine virtuali, sì o no? Risponde la startup Kuiri

di letizia ceriani

La tecnologia ha aperto – e apre – nuovi scenari di quotidianità e anche in cucina le possibilità si dipanano. Il fenomeno del food delivery nasce nei paesi anglosassoni ormai anni fa, ma nel Belpaese esplode in modo considerevole con la crisi pandemica. Food delivery, sì, ma anche cucine virtuali: ghost kitchen, dark kitchen e cloud kitchen hanno prontamente risposto colmando la mancanza della presenza, all’inter nos della convivialità.

Tra i made in Italy, caso di successo è quello di Kuiri (“cucinare” in esperanto), che nasce nel settembre 2021 come startup innovativa, dall’idea di Paolo Colapietro (Ceo), e da Alessandro Ringhetti (Cco). La crescita è stata esponenziale e oggi conta sette location tra le città di Milano, Torino e Roma. Prossimo step? «Guardare a partnership estere per aprire i confini». Ma in cosa consiste il progetto Kuiri? Kuiri si definisce una cloud kitchen, in quanto crea una serie di Digital Food Hall, locali attrezzati per preparare diversi tipi di piatti, che arrivano a casa tramite delivery. In ogni Hall coesistono dalle 8 alle 15 cucine indipendenti e la particolarità di Kuiri consiste nella possibilità di ordinare più brand contemporaneamente, scegliendo la funzione “Megamix”. Nei cloud di Kuiri – e questa è una particolarità – è anche possibile consumare il pasto sul posto, a dimostrazione del fatto «non c’è nulla nelle nostre cucine di dark o nascosto», precisa Colapietro.

Ad oggi, sono 80 i virtual brand annessi a Kuiri e spaziano dagli hamburger, ai poke, al cibo messicano. Il modello della cloud kitchen – oltre a mettere la qualità al primo posto – è anche sostenibile, in quanto utilizza spazi piccoli, piatti e posate spesso compostabili e argina gli sprechi alimentari. E che ne è dell’accanita concorrenza nel frenetico panorama nazionale? La novità introdotta da Kuiri – da quest’anno – è quella delle commissary kitchen, ovvero la produzione conto terzi, che apre il mercato italiano al virtual-franchising. Come? «Mettendo a disposizione dei cuochi propri per produrre brand per conto terzi». In questo modo, burocrazia, logistica e processi, sono controllati da Kuiri in prima persona.

Qualche numero. 2000 gli iscritti, 137mila gli ordini processati, e di questi 35mila solo nel primo anno di attività; il fatturato da 1 milione di euro nel 2021, ha raggiunto i 2 milioni nel 2022. E nel 2024? Kuiri punta a chiudere a 3,5 milioni.

Efficienza, digitalizzazione e zero sprechi. Cosa sono quindi le cucine virtuali? Ne abbiamo parlato con Paolo Colapietro, Ceo di Kuiri.

Come nasce il progetto Kuiri e in cosa consiste? In cosa si differenzia rispetto a dark e ghost kitchen?

Kuiri nasce dall’ambizione di concedere a tutti i ristoratori l’opportunità di far crescere il proprio business in modo veloce ed efficace attraverso la concessione di servizi. Ci differenziamo dalle classiche dark kitchen e ghost kitchen proprio per questo motivo. Se da una parte abbiamo imprenditori coinvolti nella creazione di brand “propri”, dall’altra abbiamo una serie di opportunità che mettiamo a disposizione dei nostri clienti per sostenere il loro business, che sia l’affitto di una postazione, consulenze su menu engineering, food cost e sul mondo del delivery in generale essendo, quest’ultimo, un business molto differente rispetto alla ristorazione tradizionale.

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Letizia Ceriani

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