Oxfam Festival 2022. La prima edizione mette a tema la disuguaglianza
Il 12 e il 13 maggio si è tenuto a Firenze, presso l’Istituto degli Innocenti, il primo Festival organizzato da Oxfam Italia. L’evento, intitolato “Creiamo un futuro di uguaglianza”, è stato diviso in nove panel sul tema della disuguaglianza.

Nella prima giornata, si è svolta la tavola rotonda “Imprese e diritti umani: i giusti strumenti per una condotta pienamente responsabile”, che ha visto dialogare alcuni esponenti dell’imprenditoria agroalimentare italiana. Tra questi: Mario Cerutti, Chief Institutional Relations & Sustainability Officer di Lavazza Group, Giosuè De Salvo, portavoce della campagna “Impresa 2030. Diamoci una regolata”, Marco Frey, presidente della Fondazione Global Compact Network Italia, Maura Latini, amministratrice delegata di Coop Italia, Gianmarco Laviola, amministratore delegato di Princes Industrie Alimentari, Luciano Pirovano, Global Sustainable Development Director Food di Bolton Group e l’Head of Corporate Partnership di Oxfam Italia, Marta Pieri.
Ci siamo rivolti ad alcuni di loro per capire meglio quale direzione stiano prendendo le aziende del settore nel campo della sostenibilità dell’ambiente lavorativo. Ultimamente, si parla molto della possibilità di introdurre in Europa una due diligence obbligatoria in materia di diritti umano e ambiente. Che portata avrebbe? «La principale novità è l’obbligatorietà dell’approccio in termini di applicazione di due diligence – spiega Maura Latini, ad di Coop Italia – essendo un ambito prettamente volontario e strettamente correlato a questo aspetto, vi è certamente il tentativo di definire approcci univoci per la difesa dei diritti umani e per la transizione verde che non si limiti e non si fermi all’interno delle pareti aziendali, ma che si spinga a ritroso lungo le filiere produttive. Le imprese dovranno infatti vigilare su tutte le fasi dei processi aziendali e su tutta la catena del valore, supply chain inclusa. La globalizzazione deve funzionare per tutti non solo per gli ultimi della filiera».

Ogni azienda si dedica a un preciso core business, innestato su specifici valori condivisi. «Un tema caro a Coop è la trasparenza, ovvero l’obbligo di rendere conto di una condotta diligente – continua Latini – Coop da anni con il progetto Buoni e Giusti certifica la propria filiera. La certificazione etica dei nostri prodotti ha raggiunto le 500 ispezioni nella sola filiera del pomodoro dal 2015 a oggi e ha coinvolto 387 aziende agricole. 2200 le ispezioni totali sulle filiere dei vari prodotti certificati dal 1998, quando Coop fu la prima catena della grande distribuzione europea ad adottare lo standard etico SA8000 per i controlli, chiedendone la sottoscrizione da parte di tutti i suoi fornitori, così da ottenere precise garanzie in tema di responsabilità sociale. Oltre al presidio sulle produzioni a marchio Coop, dal 2015 è stato ampliato l’impegno coinvolgendo e responsabilizzando tutti i fornitori di ortofrutta, anche non a marchio Coop, i cui prodotti sono distribuiti nei propri punti vendita».

Anche Gianmarco Laviola, Managing Director Princes Industrie Alimentari, conferma la convenienza della due diligence: «Per Princes Industrie Alimentari intraprendere un percorso a favore della sostenibilità della filiera del pomodoro, ha significato e significa aprire virtualmente le porte dell’azienda offrendo totale trasparenza ai nostri clienti, la comunità locale e tutti gli stakeholders. Questo è anche quanto pretende il consumatore oggi, in tutto il mondo. In quest’ottica, l’introduzione della due diligence obbligatoria sarebbe da considerare come una svolta positiva per l’intero comparto del pomodoro da industria e aiuterebbe, da un lato, a innalzare gli standard di sostenibilità, dall’altro a evitare situazioni di concorrenza sleale, dove alcuni operatori possono trarre vantaggi di costo a scapito dei diritti umani o dell’ambiente».
A conferma del proprio impegno, Princes è già da tempo partner di Oxfam, come spiega Laviola: «La sostenibilità sociale non può che essere un obiettivo primario, perché consente di dare una prospettiva di lungo termine a tutta la filiera del pomodoro da industria nel territorio pugliese in cui operiamo. Negli anni, abbiamo svolto attività che hanno visto il coinvolgimento di stakeholder interni ed esterni sugli aspetti etici, per assicurare il rispetto dei diritti nel comparto. A questo fine, ad esempio, abbiamo avviato con Oxfam Italia una collaborazione che permette un’evoluzione dell’impegno contro pratiche sleali, come il caporalato, che calpestano i diritti dei lavoratori».

In primo piano, dunque, la responsabilità delle aziende nei confronti della filiera nella sua interezza. «La normativa sulla due diligence proposta lo scorso febbraio in merito ai temi di sostenibilità ambientale e di rispetto dei diritti umani, estenderà la responsabilità delle aziende al di fuori delle loro operazioni lungo tutta la value chain – commenta Luciano Pirovano, Global Sustainable Development Director Food di Bolton Group – Non conosciamo ancora i tempi di implementazione della due diligence, ma per le aziende sarà fondamentale dimostrare a tutti gli stakeholder, in modo trasparente, la tracciabilità della filiera di approvvigionamento attraverso azioni e risultati che mostrino il commitment, la sua applicazione concreta e il raggiungimento degli obiettivi stabiliti». E aggiunge: «la strategia parte da una considerazione “Partnership is the new leadership”, perché solo dialogando con l’esterno si può creare valore e avere l’opportunità di influenzare il modo in cui operano le aziende del settore, incentivando un cambiamento positivo, e ispirare i consumatori a effettuare scelte responsabili».
La sostenibilità si pone oggi come presupposto imprescindibile perché un’impresa fiorisca, considerando soprattutto quanto la crisi pandemica e il conflitto russo-ucraino abbiano acuito le disuguaglianze. «Il Paese è stanco. Esce da una pandemia e improvvisamente si ritrova con una guerra alle porte dell’Europa che non si aspettava – continua Maura Latini – Nel 2021, 24 milioni di italiani ci hanno raccontato di essere stati costretti a fare sacrifici in almeno un aspetto della loro vita quotidiana. Di questi, il 29% parlava di limitazioni proprio nel cibo ed alimentazione. Ancora prima della guerra (la ricerca risale ad agosto 2021), 5 milioni di italiani temevano un perdurare del proprio disagio alimentare. In generale tra i più colpiti dalle difficoltà ci sono gli under 30, i residenti del Sud e le donne».
Soprattutto in un periodo come questo, pieno di incertezze, quale sentiero dovrebbero percorrere le aziende del vostro settore? Come riusciremo a garantire un futuro migliore per le nuove generazioni? «Siamo di fronte a uno scenario ricco di incertezze, economiche, sociali e ambientali – esordisce Pirovano – Le aziende, per impostare una strategia che salvaguardi il futuro delle prossime generazioni, secondo me, devono valutare del proprio impatto: solo in questo modo si potranno mettere in atto delle misure in grado di prevenire, evitare o rimediare agli impatti negativi passati e futuri sull’ambiente e sulle persone. È necessario uno sforzo collettivo da parte di tutte le imprese, mettendo a fattor comune la propria esperienza virtuosa e i risultati ottenuti, per guidare le aziende del settore ad applicare soluzioni concrete che guardino con lucidità e senso di responsabilità al breve e lungo periodo».

Questa prima edizione del Festival rappresenta per Oxfam un’occasione di dialogo e una dichiarazione d’intenti, come sottolinea Marta Pieri, Head of Corporate Partnership di Oxfam Italia: «Per Oxfam è un evento di cui sentivamo l’urgenza. Oxfam è una organizzazione che da sempre si occupa di disuguaglianze e promozione dell’inclusione. Dai nostri programmi nei territori italiani impariamo moltissimo, raccogliamo esperienze e ci misuriamo con modelli di intervento che poi diventano la base su cui costruiamo le nostre proposte per i soggetti politici e istituzionali. Ma temi come l’accesso alle cure, l’accoglienza, la lotta alla povertà educativa, l’accesso al lavoro giusto, il rispetto delle diversità, sono temi che riguardano tutti e per questo abbiamo sentito il bisogno di un momento di confronto e ascolto più ampio». Il mondo corporate è pronto ad affrontare questa sfida? se sì, in che modo? «Il tema dell’inclusione sociale inizia ad entrare nell’agenda della business community, così come il tema dei diritti umani. Le aziende la tengono sulla scrivania come una “questione da gestire”. Su questo, gioca un ruolo importante la crescente attenzione degli attori della finanza e un contesto normativo che si delinea sempre più definito e attento alle violazioni in ambito sociale». E questo comporta dei rischi? «Il rischio è quello di considerare il tema del rispetto dei diritti umani come l’ennesimo dovere di compliance ed esternalizzare la soluzione, mentre è fondamentale farsene carico a partire dal top management. Come Oxfam, ci siamo dovuti organizzare per rispondere alle numerose sollecitazioni. Ci siamo resi conto che non era sufficiente far emergere le problematiche e fare luce su cause e corresponsabilità. Per avere il cambiamento, abbiamo deciso di accompagnarlo, facilitarlo, metterci le mani insieme alle aziende seriamente intenzionate a fare qualcosa. Anche perché sono problematiche la cui responsabilità di soluzione non può stare solo in capo alle aziende, c’è bisogno di un approccio sistemico che metta insieme diversi attori oltre a quello privato: le istituzioni, le rappresentanze di categoria e dei lavoratori, le organizzazioni nei territori, la società civile».
Se il dialogo è il passaggio obbligato, allora la comunicazione è tutto. «La comunicazione dei progetti trasformativi, in questo ambito, è fondamentale per coinvolgere tutti gli attori della filiera – conclude Pirovano – dai propri partner fino al consumatore, nella pratica di acquisti e azioni quotidiane più responsabili. Abbiamo, quindi, sviluppato diverse attività con l’obiettivo di condividere il nostro commitment in modo engaging per ciascun target di riferimento».