Torretta: «Alla ristorazione italiana serve più qualità»

Finalista della prima edizione di Top Chef Italia (vinta da Matteo Fronduti), Matteo Torretta è un cuoco in ascesa nel mondo della cucina di alto livello. Il giovane executive chef del ristorante Asola cucina sartoriale, al nono piano del Brian&Berry Building in via Durini a Milano, racconta con una battuta a foodcommunity.it che, nonostante la mancata vittoria, l’esperienza televisiva è servita «per dar “da mangiare” al mio ego». E spiega la sua visione del settore della ristorazione in Italia, mentre lavora a nuovi progetti professionali.

Cosa pensa dei colleghi che fanno business partecipando a programmi tv e pubblicità fuori dal loro ristorante?
Penso che oltre a essere dei bravi chef siano anche degli imprenditori e quindi come tali facciano business con le loro capacità, io condivido appieno, secondo me fanno benissimo

Oggi uno chef deve avere anche capacità imprenditoriali per avere successo?
Certamente, oggi uno chef deve essere un imprenditore, è fondamentale. La ristorazione negli ultimi anni è cambiata e di fatto il ristorante è un’azienda e quindi va gestita come tale

Come vede il settore della ristorazione a Milano?
Credo che la ristorazione in questo momento a Milano sia molto dinamica e rispecchi la vivacità che contraddistingue la città, soprattutto da un paio d’anni a questa parte, sia dal punto di vista economico sia culturale

Ci sono aspetti negativi?
Il limite che io vedo è il continuo up-and-down… nel senso che gli chef e i ristoranti importanti, perché storici o perché “giovani”, ma gestiti da bravi chef, rimangono solidi punti di riferimento per la ristorazione milanese; poi ci sono esempi di ristorazione media o medio-bassa che aprono e chiudono in pochi mesi, giusto il tempo di una stagione: quindi una varietà “one shot” che non giova alla città, perché non dà continuità all’offerta

Più in generale, qual è lo stato di salute della ristorazione italiana?
Penso che abbiamo dei grandi esempi di qualità e di continuità, ma il livello generale sia medio-basso: non è un critica, ma una constatazione

A cosa è dovuto?
Purtroppo l’italiano medio è ancora troppo legato a dei cliché che vedono la cucina “della mamma e della nonna” come le migliori e quindi la preparazione “gastronomica” per capire e apprezzare un certo tipo di cucina è ancora scarsa a livello individuale

Cosa le hanno insegnato le sue esperienze precedenti?
Ogni esperienza mi ha insegnato che nel mondo della cucina non bisogna mai essere sazi. Lo chef ha sempre qualcosa da imparare, ogni giorno. La sua è una formazione continua che non ogni giorno si accresce grazie a sperimentazioni, contatti, ricerca…

Chi sono stati i suoi maestri?
I miei maestri sono stati Martin Berasategui, Carlo Cracco, Antonino Cannavacciuolo e Giancarlo Perbellini. Non c’è una cosa in particolare che qualcuno mi ha insegnato più degli altri: ognuno di loro ha contribuito alla mia crescita personale e professionale con qualcosa di sé

Riguardo al futuro, dopo il ristorante Asola a Milano, ha altri progetti di carriera?
Assolutamente sì: ne ho due importanti, che però al momento non posso svelare…

Foto: Paolo Picciotto

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