Sprechi alimentari: l’Italia s’è desta, ora tocca a noi
di Gabriele Perrone
L’Italia si schiera in prima fila nella lotta agli sprechi alimentari. Il 2 agosto scorso è stata approvata definitivamente dal Senato la legge che il ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali Maurizio Martina ha definito «un’eredità di Expo» con l’obiettivo di recuperare 1 milione di tonnellate di cibo all’anno. La norma punta a incrementare il recupero e le donazioni delle eccedenze alimentari, con priorità della loro destinazione per l’assistenza agli indigenti.
A differenza della recente legge francese che si basa sulle sanzioni per i trasgressori, quella italiana punta su semplificazioni burocratiche, incentivi fiscali (come la riduzione della tassa sui rifiuti) ai Comuni e alle imprese che decidono di donare ai bisognosi cibo che altrimenti andrebbe buttato, oltre alla diffusione di pratiche come la family bag (o doggy bag) per portare a casa gli avanzi del ristorante. Il testo introduce nell’ordinamento le definizioni di “eccedenza” e “spreco” alimentare, fa maggiore chiarezza fra il termine minimo di conservazione e la data di scadenza e snellisce le procedure per le donazioni, nel rispetto delle norme igienico-sanitarie e della tracciabilità. Importante anche il sostegno all’educazione alimentare nelle scuole per diminuire gli sprechi di cibo.
Una svolta dunque positiva per l’Italia, dove a fronte di questi sprechi 4,6 milioni di persone vivono in condizioni di povertà assoluta (dati Istat). Ma purtroppo si tratta ancora di «una goccia nel mare», afferma Andrea Segrè, professore all’Università di Bologna e creatore dell’Osservatorio nazionale Waste watcher (formato dalla società di sondaggi Swg e da Last Minute Market, impresa per il recupero di beni invenduti a favore di enti caritativi, col sostegno del ministero dell’Ambiente e di UniCredit) che da anni analizza il problema dello spreco alimentare in Italia.
«La legge è una pietra miliare ma il tema vero è quello della prevenzione domestica. Bisogna creare comportamenti virtuosi tra i cittadini, sono loro che nelle case provocano la maggior parte degli sprechi». Per Segrè «studiare meglio le cause e i comportamenti dei consumatori, dagli acquisti eccessivi all’uso sbagliato del frigorifero, è il primo passo per garantire policies adeguate di prevenzione dello spreco. Anche l’accenno della legge all’educazione alimentare nelle scuole è troppo vago». Nella legge, sottolinea, «non ci sono scritti in modo chiaro e definitivo gli obiettivi da raggiungere e i limiti dei rifiuti». Inoltre la questione «dovrebbe essere elaborata a livello europeo» e per questo «fra gli obiettivi della nostra campagna “Spreco Zero” c’è la creazione dell’Anno europeo sullo spreco alimentare: la questione è globale e va affidata al coordinamento degli Stati membri della Ue».
Secondo i dati di Waste watcher lo spreco alimentare in Italia vale oltre 13 miliardi di euro ogni anno, circa l’1% del Pil. Questi 13 miliardi, per Coldiretti, sono persi per il 54% al consumo, per il 21% nella ristorazione, per il 15% nella distribuzione commerciale, per l’8% nell’agricoltura e per il 2% nella trasformazione. In media, aggiunge Coldiretti, ogni italiano butta nel bidone della spazzatura ben 76 chili di prodotti alimentari durante l’anno.
Nella sola Unione europea si gettano 88 milioni di tonnellate di cibo all’anno. Sono le pattumiere domestiche a detenere il record dello spreco di cibo, 47 milioni di tonnellate per i cittadini Ue: un costo che per gli italiani è stimato in 8,4 miliardi di euro all’anno (6,7 euro settimanali a famiglia).
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