(Piccola) avventura gastronomica a New York
di letizia ceriani
«Sapeva di acqua salata… di brina e di carne… e in qualche modo… del futuro». Correva l’anno 2000 quando il cuoco Anthony Bourdain scriveva quella che sarebbe nel giro di poco diventata una guida, un racconto e una vivida fotografia della ristorazione americana e mondiale.
New York sa di brina, smog, clacson, carne fritta, salsa di soia, pizza e peanuts caramellate arrostite a bordo strada. La città, oltre a non dormire mai, è una gigantesca fiera gastronomico-culinaria. Si mangia il cibo di tutto il mondo – e anche molto bene – ed io, mossa dai migliori intenti di food reporter, ho deciso di calarmi nel ruolo per un paio di settimane. O, almeno, ci ho provato. Sono riuscita a provare soltanto un terzo dei ristoranti che mi ero con tanto impegno appuntata – la mia resistenza gastrointestinale ha posto fin da subito dei limiti – e sono giunta alla conclusione che mangiare, qui, direbbe Bourdain, è, davvero, «un’avventura».
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