Massimo Gianolli, dalla finanza alla food-economy

Metti un businessman con la passione per il vino. Aggiungici un terreno di famiglia fatto apposta per produrre l’Amarone. E unisci al tutto il famoso “fiuto” per gli affari. È così che è nata La Collina dei Ciliegi, la cantina fondata nel 2005 per volontà di Massimo Gianolli, vice presidente e amministratore delegato delle società di brokeraggio assicurativo e di finanza d’impresa Generalbroker e Generalfinance. Quest’ultima dovrebbe approdare in Borsa entro l’anno. Un progetto in fieri in cui Gianolli è assistito dallo studio legale La Scala e dagli advisor Bsi e Dgpa.

«Pur essendomi sempre occupato di finanza, nel 2005 ho deciso di tornare alle origini, anche fisiche, della mia famiglia: le campagne di Erbin in Veneto», racconta Gianolli. È da qui, infatti, che è partita l’avventura de La Collina dei Ciliegi. Un progetto nato per passione e che nel 2014 ha fatturato 1,6 milioni di euro. «Abbiamo una crescita a due cifre, concentrata soprattutto all’estero ma anche in Italia stiamo finalmente vedendo i segnali di una ripresa», racconta l’imprenditore che ha pure portato l’enogastronomia gourmet allo stadio.

Forte del riconoscimento del mercato e di «120 premi vinti in tre anni», il manager ha pensato che per la sua azienda sia giunto il momento dell’ulteriore espansione. «Il 2015 è stato, infatti, il più bell’anno per la nostra società a livello di riconoscimenti e anche di ricavi. Nel corso di questi 10 anni siamo cresciuti al ritmo di circa il 20% annuo e ora l’obiettivo è fare ancora di più». Ma La Collina dei Ciliegi è anche l’emblema di un fenomeno che si è sviluppato negli ultimi anni e che ha visto i grandi gruppi finanziari avvicinarsi e interessarsi sempre di più al settore enogastronomico. «La finanza – spiega Gianolli – ha sviluppato una grandissima attenzione per il settore food perché ha finalmente capito che i veri asset del nostro Paese sono il buon cibo, il buon vino e il turismo. Questi ‘tesori’ ci rendono unici agli occhi del mondo e la finanza si è semplicemente resa conto che per investire con successo in Italia bisognava concentrarsi su ciò che ci distingue e ci viene bene davvero. Inoltre – lo dimostrano anche i dati – il settore agroalimentare ha un giro d’affari in crescita costante e il vino la fa sicuramente da padrone. Basti pensare che lo scorso anno – quando la crisi ancora si faceva sentire – l’export di vini italiani ha segnato + 6%».

Un trend positivo quello dell’export che ha coinvolto anche La Collina dei Ciliegi presente, al momento, in venti Paesi ma attiva soprattutto in Cina. Il motivo? «Questa è un’area geografica che è stata finora meno battuta dai produttori italiani come invece è successo con gli Stati Uniti. Quando siamo arrivati abbiamo perciò trovato un mercato quasi vergine e siamo riusciti a inserirci molto bene. Attualmente siamo presenti con dieci importatori e distribuiamo i nostri vini in tutte le province cinesi». Gianolli, tuttavia, non ha intenzione di fermarsi qui e, per il 2016, ha in programma un’espansione ancora più a Oriente: «Abbiamo intenzione di puntare molto sul Giappone», rivela il manager che però spiega come i progetti della società siano rivolti anche a migliorare le performance in Germania, in Svizzera, oltre a un rafforzamento negli Stati Uniti e in Canada, Paesi in cui il marchio è già presente da alcuni anni. «Ma non mancano nemmeno i piani di espansione nei cosiddetti Paesi Brics in cui abbiamo intenzione di completare la penetrazione arrivando anche in Brasile e in Sud Africa».

Ma per rendere forte e stabile un’azienda vinicola non basta raggiungere più mercati possibili: l’importante è anche farlo puntando sulla presentazione e sul posizionamento di mercato. «Il nostro cavallo di battaglia – spiega l’imprenditore – continua a essere l’Amarone anche se nella nostra ‘scuderia’ abbiamo 23 etichette. Per il 2016 il nostro impegno sarà soprattutto rivolto alla presentazione di una nuova gamma di suddivisione dei nostri prodotti: la categoria pop, quella etichetta nera e la cru». Un progetto che punta soprattutto a rafforzare il brand de La Collina dei Ciliegi e a «qualificare il marchio soprattutto all’estero», dice Gianolli che precisa: «Per fare questo bisogna lavorare sulla comunicazione che al giorno d’oggi è parte integrante del successo di una società».

La passione per l’enogastronomia ha spinto, qualche anno fa, l’imprenditore a creare il progetto Le soste culinarie. Una società che raccoglieva Amo Opera Restaurant a Verona e il famoso Antica Osteria del Ponte a Cassinetta di Lugagnano, alle porte di Milano. Nelle idee di Gianolli queste acquisizioni avrebbero dovuto aprire la strada a un ambizioso progetto di esportazione all’estero dell’alta cucina italiana. Tuttavia le cose non sono andate nel modo sperato. Nel 2015, infatti, l’imprenditore ha deciso di abbandonare gli investimenti nella ristorazione perché, pur andando molto bene dal punto di vista qualitativo, il loro andamento economico non era dei migliori e nemmeno il trend prospettico faceva ben sperare per il futuro. «L’alta ristorazione si è rivelata molto difficile da gestire, soprattutto per l’individualismo dei grandi chef che mal si concilia con una struttura manageriale come quella che volevamo dare a questo progetto», rivela l’imprenditore.

Un esperimento riuscito è invece la Skylounge VIP “La Collina dei Ciliegi” allo stadio San Siro di Milano. Si tratta di un’area all’interno della quale gli spettatori possono assistere alle partite di calcio o ai concerti godendo di comfort e servizi esclusivi. «Per la prima volta ai grandi spettacoli popolari come il calcio e i concerti si affianca uno spazio dedicato all’alta enogastronomia italiana dove i vini de La Collina dei Ciliegi incontrano la cucina dei grandi chef stellati», in questo caso Enrico Bartolini già due stelle Michelin. «La skylounge sta andando così bene che stiamo già lavorando a un progetto per aprirne di nuove in altri stadi e anche in altri Paesi. Al momento quella di San Siro è aperta solo cinquanta giorni all’anno – in occasione di partite o di concerti – e produce ricavi per oltre 600 mila euro. Una cifra considerevole per così pochi giorni di lavoro effettivi».

Tratto dal MAG n. 52 dell’11 febbraio 2016

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