Di madre in figlia, quel Capriccio sul Garda
«Gli uomini di mare hanno di fronte l’infinito ed è per questo che possono fare sogni grandissimi. Gli uomini di lago riescono a vedere l’altra sponda e quindi sognano ma con i piedi per terra». La frase appartiene a un bresciano legato intimamente alla cultura del lago: il rocker Omar Pedrini. E si attaglia perfettamente alla storia di Giuliana Germiniasi (nella foto) e di sua figlia Francesca Tassi che insieme fanno splendere una delle stelle più luminose della scena gourmand gardesana. Parliamo del Capriccio di Manerba.
Aperto nel 1965 dai genitori di Giuliana, il ristorante ha conquistato una stella Michelin (che ancora oggi conserva) nel 1999.
Quella del Capriccio di Manerba è una storia di cucina e di famiglia. Di passione e senso del dovere. «Finite le scuole superiori», racconta a MAG chef Germiniasi, «mi sarebbe piaciuto viaggiare e andare all’estero. Mia mamma, però, all’epoca mi chiese, visto che il ristorante aveva un’attività stagionale, di restare e dare una mano per l’estate. “Tanto per viaggiare ci sarebbe stato tempo”. Di fatto, da quel momento ho cominciato un lavoro che mi ha assorbita sempre di più».
Molti anni dopo, siamo nel 2009, la scomparsa prematura del grande sommelier Giancarlo Tassi, marito di chef Giuliana e suo partner nella gestione del Capriccio, fa sì che anche Francesca decida di mettere da parte il sogno di fare l’avvocato penalista e decida di affiancare sua mamma nella difesa di quanto fatto fino a quel momento nel campo della ristorazione nonché nel suo sviluppo. Francesca Tassi, anche lei divenuta sommelier, ha immaginato la nuova lounge del ristorante e proposto un servizio meno ingessato, dando un’impronta nuova al ristorante di famiglia.
Sogni e piedi per terra.
«Oggi Francesca», racconta la chef, «guida la sala e si occupa di gestire tutte le questioni burocratiche che riguardano il ristorante». «Mia figlia», prosegue, «mi tiene sempre in movimento. È molto attiva, pronta a cambiare, a volere esplorare opportunità diverse. Così innoviamo, ma con grande attenzione alla tradizione che coltiviamo ma senza lasciare che ci limiti».
Giuliana Germiniasi ha imparato il mestiere in cucina. Ma partendo dalla pasticceria. «All’epoca ero stata assegnata alla sala. Facevamo una cucina straordinaria ma i dolci secondo me non erano all’altezza del resto. Il pasticciere dell’epoca una volta mi disse provocatoriamente: “se non ti piacciono perché non li fai tu?”. E così ho cominciato».
Ha studiato tanto avendo modo di imparare da maestri come Frederic Bourse, Gianluca Fusto ed Enrico Parassina.
Mentre la sua maestra di cucina è stata mamma Mary Veggio. «Autodidatta anche lei, ma molto avanti». Ha cominciato a proporre piatti di mare già alla fine degli anni Settanta quando la proposta territoriale era ciò che tutti (i clienti) si aspettavano e tutti (i ristoratori) offrivano. «Il chilometro zero cerco di rispettarlo», dice la chef, «ma senza che questo mi limiti. Mi piace fare ricerca. Io faccio molto pesce di mare ed è ovvio che in questo caso il chilometro zero è impossibile. Per altre cose, invece, sono legatissima al territorio: come nel caso della polenta di Storo o delle farine di molino Pasini».
Agli insegnamenti di sua madre, Giuliana Germiniasi ha affiancato, anno dopo anno, viaggi alla scoperta di luoghi e sapori andando a far visita alle cucine di tanti colleghi e corsi tenuti da grandi cuochi internazionali. «Di recente ho frequentato un corso con lo staff di Ferran Adrià.
«La mia cucina deve dare certezze», dice la chef del Capriccio, «deve conquistare il palato immediatamente, al primo boccone. La curiosità, la bellezza, la materia prima sono i miei capisaldi. Più delle tecniche che fanno scena, mi interessano le cotture e le salse. Tutto il resto è un contorno».
La cucina è gestita con spirito di squadra. «Ci sono ragazzi che vengono da altri stellati. E ragazzi che hanno fatto esperienza in albergo e in cucine che fanno ristorazione di massa. A me servono sia gli uni che gli altri». Con chi ha lavorato negli stellati c’è sempre un confronto. Chi arriva da cucine più grandi, invece, ha velocità e manualità eccellenti. Il mix funziona. «Alla fine, questa è una squadra vincente».
Un’organizzazione che muove circa 500mila euro di ricavi annuali e a cui si affiancano anche l’attività di catering e il bistrot Sacro et Profano. Inizialmente, si chiamava Gusto, «poi lo abbiamo completamente rinnovato e ribattezzato. Si trova all’interno di una chiesa sconsacrata del 1.300. Qui si mangia solo carne, in un ambiente più informale e giovanile». Perché la diversificazione dell’offerta è ormai diventata un fattore essenziale per chiunque voglia fare impresa nella ristorazione e avere una marginalità adeguata.
Mentre se parliamo di futuro, la seconda stella, potrebbe essere un obiettivo da inseguire. La cucina si è ormai consolidata a un livello altissimo. E adesso, sotto la guida di Francesca Tassi, anche la sala ha raggiunto uno standard d’eccellenza. «Quando lavori con passione un obiettivo te lo dai sempre», conclude Giuliana Germiniasi. L’importante è sognare, ma con i piedi per terra.
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