Il gusto dell’autentico, da Manna in zona Martesana

di letizia ceriani

Non per lo mondo[…], ma per amor de la verace manna (Dante, Paradiso, XII, 82-84). A Milano la concorrenza è spietata e le aperture di nuovi locali sono all’ordine del giorno, ma trovare ambienti che abbiano voce e carattere (divino?) e uno storico è molto raro. È il caso di Manna. In tre parole: onestà, milanesità, gusto.

Capitanato dall’irriverente chef Matteo Fronduti (a destra nella foto), il ristorante si affaccia su Piazzale Governo Provvisorio, zona pedonale all’interno del quartiere “cool” di Nolo, fermata Turro. Fronduti apre Manna nel lontano 2008 lasciandosi alle spalle esperienze stellate – e impostate – per dare vita a un locale che racconta una certa idea di fine dining, la sua.

Piccola nota: le comande le prende lo chef, e – sia chiaro – non accetta che i commensali tornino a casa senza aver gustato un percorso completo. Indovinata la formula delle mezze porzioni che permettono di sbizzarrirsi nella degustazione di più piatti; servizio e coperto sono inclusi (tutto vero), e il menù cambia stagionalmente. Noi abbiamo optato per due antipasti, due mezze porzioni di primo, due secondi e due dolci. Trattenersi sarebbe un vero peccato qui.

Fronduti e la sua brigata – giovane, professionale e spigliata nell’iconica camicia a quadri – osano con una comunicazione e un approccio schietti e sfidanti. A partire dai nomi dei piatti: tra gli antipasti l’”insalatina” – che di insalata non ha nulla – consiste in una base di scarola arrosto, su cui si adagia un uovo con tuorlo fondente, spolverata di curry verde e salsa al miso rosso. Milano e Oriente si abbracciano in questo primo tornante.

Forse i più giovani faranno fatica a cogliere la reference, ma l’entrée fa sicuramente sorridere. “Contro il logorio della vita moderna” non è altro che un’esaltazione del carciofo, servito sia fritto che liscio, con patata, ricci di mare e limone, per dare quella giusta nota di acidità al piatto. Creatività, per l’occhio e per il palato.

Chi cena da Manna, non può non assaggiare il risotto, uno dei piatti firma di Fronduti. Nel nostro caso, è stato “Un grosso guaio”, anzi grossissimo. Sul riso, mantecato al cavolo nero, sono sparsi pezzetti di rognone e il lardo. In questo piatto c’è tutto: la dolcezza, l’affumicato, l’amarognolo del cavolo, la spinta dell’aceto vecchio.

Il sentiero non è segnato, ma libero e per tutti i gusti: green, pesce e carne. Per i palati più delicati – ma non troppo – spaziale la “Martesana Chowder”, una minestra di molluschi e crostacei, con bacon croccante, mantecato con latte e aneto. Piatto delicatissimo, gustoso, bilanciato, ma che non manca di grinta.

Sui secondi lo chef si sbizzarrisce. Sicuramente la carne è una sua passione, ma anche il pesce sa decisamente il fatto suo. In entrambi i casi, sapori forti e decisi, ma sempre armonici. “Miserere” è sicuramente un piatto vigoroso e seducente. La morbida pancia di agnello viene servita con una salsa bagnacauda e un contorno di cavolo cappuccio bianco. Stagionalità e scelta della materia prima guidano il menù del locale.

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Letizia Ceriani

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