Home restaurant, cosa cambia con le nuove regole

L’Italia prova a regolamentare il fenomeno sempre più diffuso degli home restaurant.
Un disegno di legge presentato in parlamento da Azzurra Pia Maria Cancelleri del Movimento 5 stelle punta a disciplinare l’attività occasionale di ristorazione nelle abitazioni private in cui persone comuni invitano estranei a cena a pagamento.

Le principali regole previste dal ddl sono: obbligo di segnalare l’apertura con la cosiddetta Scia, un certificato di inizio attività; non più di otto aperture al mese fino a un massimo di 80 l’anno; 10 coperti al massimo; due stanze disponibili per appartamento. Per alcuni è una stretta che rischia di limitare le occasioni di social eating, per altri è una misura necessaria.

L’obiettivo del ddl è quello di colmare un gap normativo tra la ristorazione classica e questo fenomeno che rientra nella sharing economy (economia della condivisione) per evitare che si parli di concorrenza sleale come accaduto in altri settori con Uber e Airbnb.

L’attività del social eating è talmente diffusa in Italia da avere già diversi punti di riferimento, come il portale Gnammo (190 mila utenti, quintuplicati dal 2014) e l’associazione Home Restaurant Italia che tutela gli interessi dei nuovi ristoratori domestici.

Secondo una ricerca del Centro studi turistici, nel 2014 il settore degli home restaurant ha fatturato 7,2 milioni di euro, con 7 mila cuochi che hanno aperto la loro casa a conoscenti o sconosciuti contattati tramite social network. Sempre nel 2014 hanno cenato in un home restaurant italiano 300 mila persone.

Un sondaggio Swg per Confesercenti dimostra che l’80% dei ristoratori italiani dice che si tratta di concorrenza sleale e il 92% sostiene che il fenomeno debba essere regolato.

Il disegno di legge in discussione in parlamento vuole quindi disciplinare la realtà del social eating, tutelando il patrimonio enogastronomico nazionale ed evitando che i ristoratori tradizionali diano vita a proteste come quelle dei tassisti contro Uber.

Ma in tempi di crisi economica c’è chi sostiene che home restaurant e ristorazione classica siano due attività separate (la prima è occasionale, la seconda è un lavoro) e non si debba mettere un freno a questo fenomeno in espansione, utile anche come nuova opportunità di reddito.

Intanto Gnammo sembra aver iniziato a prendere le contromisure. La società piemontese ha infatti diversificato il proprio business aprendo alla ristorazione tradizionale con il formato ‘Social Restaurant’: in pratica gli chef possono proporre la loro offerta (menù, prezzo, posti disponibili) sul sito della piattaforma e i clienti aderiscono pagando la propria quota. Poi ci si incontra direttamente nei ristoranti, non più a casa.

«È il momento di creare alleanze con i ristoratori  – spiega Gian Luca Ranno, uno dei tre fondatori di Gnammo insieme a Cristiano Rigon e Walter Dabbicco – proprio per ribadire che il social eating non è il nemico ma un canale alternativo per chi ama il cibo e la socialità a tavola».

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