Bros’archia
«Non mi pongo limiti. Non mi posso porre dei limiti. Sto pensando al prossimo step: l’autarchia». Floriano Pellegrino, classe 1990, è chef e socio (assieme alla sua compagna e sous chef Isabella Potì) del ristorante Bros’, a Lecce.
Partiti con un investimento iniziale di 200mila euro, lui e la sua brigata sono letteralmente esplosi e negli ultimi due anni si sono imposti all’attenzione di gourmet e media nel mondo.
A 18 anni, quando lavorava per Ilario Vinciguerra, Pellegrino ha conquistato il premio come miglior commis al Bocuse d’Or. La sua scuola sono state le cucine di alcuni mostri sacri dell’alta ristorazione internazionale: Martin Berasategui (suo vero e proprio mentore), Luis Andoni Aduriz, Eneko Atxa, Alexandre Gauthier, Rene Redzepi e Claude Bosi.
MAG (si veda il numero 84) nel 2017, ha indicato Pellegrino tra i 10 astri nascenti della cucina italiana. Mentre Forbes ha incluso prima Isabella Potì (che da Bros’ governa anche la linea dei dolci) e poi Pellegrino tra i 100 talenti under 30 in Europa.
In meno di tre anni, Bros’ è diventato una realtà protagonista del fine dining italiano, ma anche un caso scuola per chiunque sia interessato a capire cosa serva, oggi, per imporsi nel sempre più affollato mercato della ristorazione di alto bordo. E questo, forse, è proprio merito dell’approccio al business di chef Pellegrino & company. «Con la nostra cucina – dice a MAG il cuoco originario di Scorrano – noi vogliamo dare profondità. Spostare l’orizzonte. Rendere il Sud centrale».
Il progetto Bros’ ormai ha tre anni di vita. «Tra poco compiremo i nostri primi cinque anni di attività – dice Pellegrino – è il momento di mettere in cantiere il nuovo capitolo di questa storia. Mi piace ragionare per cicli». E a quanto pare, il secondo piano quinquennale del gruppo guarda alla campagna del Salento. A quei luoghi in cui Pellegrino è nato e cresciuto. «La mia famiglia era proprietaria di un’azienda agricola e di un agriturismo. Io sto tra i fornelli da quando sono nato».
Ma a cosa sta pensando esattamente? «Non posso svelare ancora i dettagli. Ma vorremmo dare vita a una masseria autarchica. Non un luogo chiuso. Ma una sorta di collettore delle eccellenze che il nostro territorio offre, dove produrre materia prima di grande qualità e in cui coinvolgere il più possibile gli altri produttori e fornitori della zona». Una sorta di hub enogastronomico targato Pellegrino.
Chef Floriano è un uomo del suo tempo. Un «millennial», come dice spesso. Il concetto di confine non gli appartiene. Non ragiona solo da cuoco, ma da imprenditore. «Uno dei miei maestri,Martin Berasategui, una volta mi ha detto che per riuscire in questo mestiere dovevo scegliermi una bandiera e poi portarla avanti». Quella bandiera, per Pellegrino, non poteva che essere il Salento. «Avremmo potuto aprire il nostro ristorante a Londra, certo, ma non avremmo avuto la stessa soddisfazione. E poi qui, in questo territorio fantastico, abbiamo tutto. L’olio, il vino, il pesce, gli ortaggi i formaggi». Quando, poco più che adolescente, Pellegrino ha lasciato casa per andare a formarsi nei grandi ristoranti d’Italia ed Europa, lo ha fatto con l’intenzione di tornare e cambiare le cose.
In questa masseria autarchica si potrà mangiare e forse si potrà anche dormire. Di certo, l’idea è diversificare. Bros’, al momento, è l’unica attività del gruppo. Ma il potenziale da sviluppare è decisamente elevato.
Stessa cosa vale per il livello di difficoltà dell’impresa. Non a caso, per riuscire a «rendere il Sud centrale», ovvero per riuscire a rendere centrale Lecce nell’universo gastronomico, Bros’ ha lanciato l’idea delle cene impossibili. Veri e propri eventi gastronomici che periodicamente portano nella cucina di via Acaja, alcune star internazionali dell’alta cucina.
Sono passati di qui, Antonio Arcieri, Davide Garavaglia, Syrco Bakker e ovviamente Berasategui.
E poi è fondamentale essere visibili.
Ecco perché Pellegrino, Potì e il resto del gruppo non si tirano indietro quando c’è da lavorare anche sui social o sui video che vanno a completare lo story telling del loro progetto. Hanno un look da rock star. Con i loro girati raccontano una generazione (i componenti della squadra, tra cucina e sala, sono nati tutti tra il 1990 e il 2000), il territorio in cui vivono e il mood della loro cucina. «Essere sui social – dice Pellegrino ci avvicina al resto del mondo –. Noi ci troviamo a Lecce, non a New York o Milano. La gente da noi deve venire apposta. Questi strumenti sono naturalmente nelle nostre corde. Ci appartengono. Perché non usarli?». E poi ammette: «Ci divertiamo a essere spregiudicati». E questo vale tanto per l’immagine quanto per la cucina.
Tutto il lavoro che chef e brigata stanno facendo su quello che chiamano il «background gustativo» esprime esattamente questo approccio. «Stiamo lavorando sul rancido, sull’amaro, sulle acidità, le fermentazioni e il salmastro». E così nascono piatti unici come le linguine liquamen e pistacchio o la ricotta forte accostata ai ricci di mare.
La ricerca sembra puntare all’essenza, con un lavoro che ha dello scientifico. «I nostri menù sono stagionali. Ogni cambio viene preparato con mesi di anticipo. Tutto è studiato nei minimi dettagli. E poi standardizzato. Non c’è spazio per gli errori. Fotografiamo il risultato e sappiamo come dovrà essere. Tutti i giorni cerchiamo di dedicare una parte del nostro tempo alla ricerca».
Il punto è sempre lo stesso. Quell’ambizione. Quella voglia di essere centrali pur facendo base alla fine del Tacco d’Italia. Dove non arriva l’autostrada. Dove l’aeroporto più vicino è a 45 chilometri di distanza. «Lo dico sempre: perché la gente deve venire a mangiare da noi? E la risposta è che qui deve trovare qualcosa di unico».
Il limite a tutto questo? Non c’è.