A tu per tu con Alice Paillard
di letizia ceriani
I tempi – come accade nella comicità – determinano la riuscita di un’ottima annata. E quando si parla di Champagne, questo è ancora più vero. Tempistiche di affinamento, origine delle uve, tradizione e sperimentazione, sono le sfaccettature di questo prismatico universo tutto bolle.
«La cultura della Champagne è essa stessa innovazione». Se l’innovazione è una spinta a fare sempre meglio, diventa necessario chiederci da dove veniamo. C’è molta cognizione di causa nelle parole di Alice Paillard, dal 2018 titolare della maison francese fondata dal padre Bruno nel 1981.
Seppur relativamente giovane nel colorato e antico panorama dello Champagne, la maison Paillard mantiene un buon posizionamento tra le competitor d’oltralpe, anche se è l’Italia il primo mercato estero.
Si deve infatti alla Cuzziol Spa (di cui abbiamo parlato nel numero 202 di MAG), player nel mercato di distribuzione di birra, vini e prodotti alimentari top di gamma, l’approdo in terra tricolore nel 1999. Galeotta fu l’amicizia tra il trevigiano Luca Cuzziol e Bruno Paillard, che portò nel 2015 Paillard all’ingresso nella nuova società Cuzziol Grandi Vini assieme a Luciano Benetton. Nell’ultimo triennio, sono state vendute nello Stivale tra le 90mila e le 110mila bottiglie su una produzione annua complessiva di oltre 350mila bottiglie.
La ricerca dell’origine e il suo senso sono insiti nel Dna famigliare. «Per noi in Paillard, l’origine è fondamentale, così come l’espressione dell’origine; per questo cerchiamo sempre l’autenticità nei nostri vini». Nel caso della Paillard, la sperimentazione è sempre al servizio del vino che, in questa terra così gessosa e fredda, soffre.
La natura dà e l’uomo inventa, ma nell’universo enologico questo rapporto è tanto affascinante quanto sfidante. MAG ha incontrato Alice Paillard.
Partiamo dagli inizi. La sua formazione è avvenuta lontana da casa ma poi alla fine è tornata. Ha sempre voluto prendere in mano le redini dell’azienda paterna?
No, e credo di aver avuto la grande fortuna di poter scegliere. Ci sono varie storie di quelli che sono stati vantaggi e svantaggi, di chi si è trovato nella situazione di dover fin da subito prendere in mano l’azienda di famiglia…ecco, io ho avuto il lusso del tempo.
Tempo per?
Il tempo per partire, per viaggiare e per capire cosa volessi fare della mia vita, ma soprattutto per capire il mio attaccamento a questa ragione. Alla fine, ho realizzato che per me era in Bruno Paillard che aveva senso dedicare energie e tempo.
E che cosa l’ha convinta?
Mi ha sedotto il fatto che ci fosse ancora molto da scrivere. Tanti valori, una visione molto potente, e al tempo stesso una grande parte del camino da fare. Se tutto fosse stato definito, non so se avrei avuto la stessa voglia. A 25 anni si ha bisogno di sapere di poter aggiungere qualcosa a una certa storia.
Oggi quanto c’è di Alice nella Bruno Paillard?
Non saprei. La prima cosa che si impara lavorando nel mondo del vino è che inciampare è un bene, e che si soffre l’impatto del tempo; questo intima ad avere una certa umiltà. Non mi sono mai approcciata al mondo del vino con l’idea di imporre una certa visione, la mia visione.
Come mai?
Prima di tutto, perché il mio gusto è stato addestrato, affinato, fin da piccola, dai miei genitori. Il gusto si individualizza pian piano…non nasce da sé. È un’illusione pensare il contrario. Il mio gusto è stato forgiato ed elevato grazie ai miei genitori, senza dubbio.
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